Intervento dell’esponente socialista bolognese Franco Ecchia sul voto del 24-25 febbraio: commenti e proposte
In primis un commento sui sondaggisti nostrani: con l’instant poll (sondaggio istantaneo a ridosso del voto) e con la richiesta dell’intenzione del voto con l’uso dei soli telefoni fissi si è ottenuto perlomeno un effetto, quello di fare contenti quasi tutti: alcuni per tutto il periodo dello spoglio, altri a fasi alterne. Aggiornarsi: l’instant poll non funziona in un paese di ipocriti e quindi va eliminato; avvisarli che esistono altri mezzi di comunicazione. Va segnalato che gli unici sondaggi azzeccati sono quelli degli esperti di Berlusconi, forse perché meglio pagati.
Considerazioni sul risultato complessivo. Dobbiamo ringraziare il porcellum perché ha consentito di avere, almeno alla Camera, una maggioranza. Sicuramente con un sistema elettorale proporzionale con o senza sbarramento e, forse, con un sistema a collegio uninominale secco o “doppio turno”, avremmo l’ingovernabilità anche alla Camera. Prima prendiamo atto che siamo passati da un bipolarismo complicato a un tripolarismo inconcludente, meglio sarà. I 124.407 voti in più della sinistra sulla destra hanno fruttato alla prima il 55 per cento dei deputati, cioè 340. Per un deputato della sinistra sono occorsi 29.555 voti e per quelli delle altre coalizioni una media di 80.160 voti, Chi si ricorda della battaglia parlamentare contro la legge truffa? Per i più giovani ricordo che era previsto un piccolo premio per la lista che avesse raggiunto il 50 per cento + 1 dei voti validi.
Alla Camera erano presenti 48 liste e solo 10 hanno ottenuto seggi, mentre al Senato si sono presentate 58 liste ed hanno ottenuto senatori 8 di esse. Sicuramente la drastica riduzione delle firme ha favorito la presentazione delle liste elettorali, ma 1.751.014 elettori hanno lasciato nell’urna le speranze di eleggere un proprio rappresentante alla Camera e 1.267.064, tra bianche e nulle, si sono recati inutilmente ai seggi elettorali. Infine, l’affluenza alle urne: se consideriamo i dati delle precedenti consultazioni, il calo è evidente; se li confrontiamo con i dati degli altri paesi europei, rimane una delle percentuale più alta e di ciò dobbiamo rallegrarci.
Sulle coalizioni. Partendo dalla sinistra, si può dire in generale che questa sinistra non consente una sicura vittoria. C’è chi ha detto che è troppo socialdemocratica; forse è troppo poco socialdemocratica, sicuramente è stata percepita come troppo Pci-Pds-Ds. Ne approfitto per sollecitare comunque una adesione alla famiglia dell’Internazionale socialista. Pierluigi Bewrsani non è riuscito a smacchiare il giaguaro e non tutti hanno compreso cosa intendesse dire in termini programmatici. Il Pd ha avuto un’imprevista e consistente emorragia di consensi e Sel è stata molto, troppo, al di sotto delle aspettative (cosa è successo nel regno di Nichi Vendola?). Una sola annotazione riferita al Pd. Sarebbe bastata una sua posizione decisa nell’ammettere che a Siena dei propri dirigenti avevano sbagliato, non si erano comportati correttamente e avevano commesso azioni eticamente ingiustificabili per perlomeno ridimensionare le forti critiche di Beppe Grillo, che ha battuto tutta l’Italia parlando dello scandalo dalla Banca. Ma è prevalsa la linea del “noi siamo diversi”!
La mancanza del simbolo del Psi ha sollevato dubbi, perplessità, contrarietà (e probabilmente una parte, spero piccola, di socialisti ha diversamente indirizzato il proprio voto). Tuttavia la tattica socialista di usare come cavallo di Troia il Pd per entrare in Parlamento dopo una troppo lunga assenza è risultata produttiva, consentendoci di avere 1 senatore e 4 deputati (ai quali si aggiunge un senatore eletto dagli italiani all’estero). Certamente avremmo ottenuto di più se avessimo avuto più coraggio a presentare le nostre liste richiamando il Pd al rispetto degli accordi a suo tempo sottoscritti senza paura del Centro democratico di Tabacci perché saremmo stati noi socialisti a usufruire del premio previsto, sempre dal porcellum, probabilmente avendo una decina di parlamentari. Infine, la presentazione di una lista unica (esempio, Italia bene comune) avrebbe perlomeno dato un segnale di novità e continuità con le primarie (alle quali potevamo partecipare) ma il desiderio di contarsi ha consentito oggi di calcolare le singole perdite del Pd e di Sel.
Sulla coalizione di destra occorre sottolineare la grande capacità del giaguaro di non farsi smacchiare e, siccome era dato per completamente spacciato, possiamo considerarlo un perdente a metà, come Bersani può considerarsi un vincente a metà. Silvio Berlusconi sa usare i mezzi di comunicazione, sa parlare agli italiani al punto da mandarne (se vero!) alcuni alle poste per richiedere la restituzione dell’Imu che, peraltro, non avendo vinto, non sarà più obbligato a restituire. Anche il Pdl e la Lega hanno donato molto sangue ai grillini, ma sono riusciti a non far vincere la sinistra.
Sul centro occorre prima di tutto ringraziare Monti per la sua salita/discesa in campo perché ciò ha impedito a Berlusconi di vincere. Ve lo immaginate uno scenario elettorale con Monti a capo di una coalizione di destra, sponsorizzato dal Ppe e con Berlusconi un passo indietro? O Nonti non salito/disceso in campo, rimasto sullo scranno senatoriale? Dove sarebbe andata una parte dei voti che ha ottenuto? Occorre che il presidente del Consiglio uscente prenda atto che i professori, i migliori, i capaci, i superburocrati, i rappresentanti della società civile, così come sono graditi alla destra europea e alla finanza mondiale, non sono graditi agli italiani e sono stati recepiti come una classe elitaria in fondo cinica e anche pasticciona.
Che dire poi dell’Udc? L’unica spiegazione è che Pierferdinando Casini abbia intenzionalmente operato per chiudere la sua creatura e risorgere novella Araba fenice nel movimento montiano. Del resto ha parlato tanto bene, e sempre e solo di Monti, che è riuscito a convincere i suoi che era meglio votarlo direttamente. Successe anche negli anni Settanta del secolo scorso, quando un segretario del Psi, in campagna elettorale, dichiarò ripetutamente che senza il Pci non sarebbe andato al governo, con il risultato negativo che gli elettori premiarono il Pci stesso e con il risultato positivo di aprire la via a Bettino Craxi. Ci si può consolare che l’idea, tanto sponsorizzata dalla Chiesa, o almeno da una parte di essa, di intravedere nel centro un contenitore per i cattolici, se non tramontata, perlomeno si è moltissimo allontanata. Sparito Fli, quasi azzerato l’Udc (a proposito, chi può dirmi dove vaga l’Api di rutelliana memoria?) Monti ha anche pagato il prezzo di una alleanza percepita come il raccoglitore del vecchio che insiste; può essere inquadrato come il perdente/perdente.
Dell’estrema sinistra poche parole: gli italiani non amano la rivoluzione, nemmeno quella civile. Il suo massimo esponente o torna in Guatemala o tornerà a fare il magistrato in Italia, creando problemi e tensioni quando nella sua professione sarà di fronte a probabili inquisiti di chiaro e dichiarato segno politico contrario al suo: le ricusazioni saranno all’ordine del giorno. L’unico risultato positivo è l’annullamento di Antonio Di Pietro dal Parlamento, dimesso da presidente dell’Idv, ma forse non da amministratore delegato.
Infine, il Movimento 5 stelle, il vero vincente/vincente: il Dracula Grillo ha succhiato sangue a tutti, favorito dai partiti che, con i loro comportamenti, con le cose fatte o non fatte, gli hanno offerto calici rossi. Ha abbinato alla raccolta del malcontento una grande capacità comunicativa (se si facesse una gara sicuramente arriverebbe a pari merito con Berlusconi) e l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione. È un movimento con all’interno tante sfaccettature e quindi in evoluzione e presto vedremo quale direzione prenderà. Occorre tener presente che una cosa è Grillo e un’altra cosa sono i grillini: anche questi sicuramente non vogliono tornare al voto e sicuramente desiderano adoperarsi per affrontare i nostri gravi problemi.
Che fare ora? Non vedo molte strade da percorrere ma credo che la necessità di stabilità ci verrà imposta dall’interno e dall’esterno del Paese e dovrà essere una stabilità di almeno alcuni anni per produrre riforme anche costituzionalmente di larga portata. Non penso a un governo di minoranza con il suo presidente che ottenga una maggioranza da una lista o dall’altra un giorno sì e l’altro pure, a seconda dei provvedimenti graditi da una parte o dall’altra. Del resto, la governabilità la si crea con chi la vuole, con chi ci sta. Non dobbiamo precluderci alcuna soluzione, occorre fare di necessità virtù: tutti debbono sacrificare qualcosa delle proprie proposte elettorale e delle proprie ideologie per convergere su programmi chiari e utili per gli italiani.
Tornare alle urne sarebbe un regalo a chi intercetta abilmente la protesta. Dovrebbe rimanere l’ultima carta nel caso d’insuccesso di ogni utile tentativo di rendere stabile la governabilità Nel malaugurato caso non vi fosse altra possibilità, per favore, non aspettiamo troppo, acceleriamo tutti i complessi farraginosi meccanismi istituzionali, superando anche la impossibilità di riscioglimento delle camere con l’elezione rapida un nuovo presidente della Repubblica a proposito del quale vale la pena ricordare che, se si fosse andato al voto senza la negativa invenzione di Monti, le cose sarebbero state oggi molto diverse. Sono andate al voto due volte la Grecia e la Spagna messe ben peggio di noi. La finanza e i nostri grandi problemi non possono aspettare i tempi istituzionali. Nel frattempo consiglierei, sempre in un’ottica di risparmi, di mantenere i tabelloni elettorali ben montati o di prevederne il loro superamento, essendo frutto di scarso utilizzo e di una legge preistorica.
Questo scossone elettorale, che spero benefico, apre, come si è già visto, una serie di problemi all’interno dei partiti e dei movimenti. Non è il momento di chiedere la testa di nessuno, ma tra i non vincenti, i non perdenti e i perdenti, si apre un processo che forse sarà più veloce delle procedure istituzionali. Anche noi socialisti siamo chiamati a una profonda riflessione che, dopo l’augurio di buon lavoro ai nostri importanti rappresentanti in parlamento, dovrà approdare a una fase congressuale da svolgere in tempi brevi. Ne va dell’essenza stessa e dell’esistenza del nostro partito.
L’immagine di apertura: in anteprima la copertina del The Economist del 2 marzo 2013.
Franco Ecchia
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)