Segnaliamo all’attenzione dei nostri lettori due romanzi storici, che contengono riflessioni – e non paia una contraddizione! – di scottante attualità, vista la nostra temperie di fanatismo religioso e di sfruttamento del lavoro umano, anche minorile. L’autrice è l’emiliana Normanna Albertini, che sa rendere la storia testimonianza viva e materia di riflessione e, perché no?, di approfondimento ragionato e critico.
Alle radici del male – Padre Heinrich Krämer (meglio noto come “Institor”) – teologo domenicano autore, insieme a Johann Sprenger, del Malleus maleficarum (Il maglio delle streghe), una sorta di vademecum del perfetto inquisitore, che indicava le “inequivocabili stigmate della stregoneria” – sperimentò per la prima volta l’applicazione dei propri perversi canoni nel 1485, a Innsbruck, poco prima che nel 1492 Colombo scoprisse “El outro mundo”. I due eventi, mostruosamente interconnessi, sono i simbolici punti d’arrivo del bel romanzo di Normanna Albertini Shemal (Chimienti, pp. 128, € 13,50), che s’interroga sulle radici del male viaggiando, a ritroso di tempi e luoghi, tramite Samaele, “il serpente” – Shemal appunto -, effigiato nella sua bisessuata veste di “Colui che è signore del male” e di “Colei che è seme di sapienzialità”, fonte di vita. “Colui” è diventato, nella cultura greco-latina, Ares-Marte, dio della guerra, volontà di potenza, inganno. “Colei” è stata raffigurata, nell’antica religione egizia, da Iside, la “donna-curatrice”. Samaele s’insinua nell’orecchio di Eva, che perciò stesso assurge a “peccatrice” nella mitologia giudaico-cristiana e a strega per i tribunali della Santa Inquisizione. Perché la donna faceva ancora paura, anche se da secoli era stata spogliata della sua “arte guaritrice”.
La “febbre dell’oro” – Il serpente s’insinua pure nella borsa di Antonio Malfante durante una tempesta di vento nel Sahara: ed ecco la metafora della “febbre dell’oro” in un’Europa alle soglie del Rinascimento, periodo storico originato proprio dall’afflusso del bramato biondo metallo, anche se non dall’Africa, bensì dal Nuovo mondo. Rinascimento che porta con sé i germi di una nuova creatura sociopolitica: lo “Stato-Nazione”. Istituzione che s’intreccia, fino a epoche recentissime, con il nazionalismo dei suoi potentati, divenendo spoliazione colonialista, effetto e causa di guerre e, nei casi più gravi, genocidio. La narrazione dell’Albertini si snoda sinuosa, incontrando i potenti e gli umili, i persecutori e i perseguitati, lumeggiando le contraddizioni di un’epoca oscurantista, eppure passata alla storia come periodo aureo dell’umanità. Un monito alla riflessione sul ripetersi di tragici cicli di fobie, intolleranze, violenze, avidità e correlate guerre. Anche ai giorni nostri, e non solo a livello macrosociale.
La povera Italia di fine Ottocento – Altro romanzo storico della Albertini è Isabella (Chimienti, pp. 144, € 13,00), che catapulta il lettore nell’affamata Italia di fine Ottocento, cannoneggiata dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. L’Italia postcrispina, sconvolta dal fallimento dell’avventura colonialista in Etiopia. L’Italia in cui le donne sono tenute in conto di bestie: violentabili con la garanzia dell’impunità. E, in sovrappiù, condannate al ludibrio sociale e alla povertà più nera. Donne che, se riescono a fuggire oltralpe, incappano in istituti come l’ospedale psichiatrico della Salpêtrière, dove sono nosograficamente classificate “isteriche” e perciò trattate alla stregua di marionette da ipnotizzare, più che di vittime da curare.
L’inferno dei bimbi italiani nelle vetrerie francesi – Un’Italia molto diversa dai sogni dei carbonari (nel vivo dei quali, tramite la tecnica del flashback, l’autrice ci immette), che hanno contribuito fortemente al movimento risorgimentale, innervandone basi teoriche e moti rivoluzionari; in ciò applicando le punte più avanzate del pensiero politico elaborato in quell’immenso crogiolo che fu la Rivoluzione francese. La Francia, però, si rivela un Paese non meno iniquo, giacché, nell’alveo della seconda rivoluzione industriale, durante la Belle Époque, nella Champagne si tollera, anzi, ci si dà da fare per procacciarsi il lavoro minorile di piccoli italiani, strappati al massacrante lavoro di pastorelli di armenti e gettati in un altro inferno, quello delle vetrerie, che producono le bottiglie destinate a contenere il pregiato vino inventato proprio in quegli anni da Dom Pérignon.
L’immagine: copertina di Isabella.
Elisabetta Blasi
(LucidaMente, anno II, n. 21, settembre 2007)
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