La legge Fini-Giovanardi del 2006 ha di fatto abolito la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, equiparando a livello giuridico lo spaccio, la detenzione e l’uso di hashish e marijuana a quello, tra le altre, di eroina e cocaina. Una grande confusione ha sempre caratterizzato le leggi in materia di droga in Italia, specialmente per quanto riguarda il celebre concetto di “modica quantità”.
Esso rappresentava la soglia sotto la quale il reato era di natura amministrativa, in quanto la sostanza era utilizzata solo per uso personale; in caso contrario si trattava di spaccio, punibile penalmente.
Mentalità antiquate contaminano la “Legge” e le nostre vite
Il termine droga, nella nostra cultura, ha storicamente un’accezione negativa: richiama alla mente vizio, degrado, perversione, suscitando in genere paura e ribrezzo.
In realtà, spogliando la parola dai suoi attributi culturali e considerandone la definizione “da vocabolario”, essa rappresenta qualunque “sostanza, naturale o di sintesi, con proprietà stupefacenti, eccitanti o allucinogene” (www.old.demauropavia.it). Si può quindi dedurre senza dubbio che rientrano nella categoria, ad esempio, certi farmaci, anche di facile reperibilità, o cibi e bevande di uso comune, come alcune spezie, il caffè, il tè, la cola e, naturalmente, gli alcolici.
Proprio questi ultimi rappresentano perfettamente la distorsione culturale alla base della discriminazione tra i vari tipi di droga. L’alcol è notoriamente dannoso per la salute come e più di altre droghe riconosciute come tali, provoca danni al cervello e al fegato e può favorire l’insorgere di epatiti. Tuttavia, benché si sprechino le campagne contro di esso, nessuno si è mai sognato di equipararlo alle altre droghe, rendendolo illegale. E ci mancherebbe! Pensate come reagirebbero le migliaia di produttori vinicoli, le enoteche, i pub, i birrifici, i ristoranti e i corsi per sommelier! Per non parlare dei milioni di “appassionati”…
D’altra parte, sappiamo tutti a cosa ha portato il proibizionismo americano degli anni Venti. Ma quella è roba d’altri tempi! Bande di gangster che si sparano da automobili in corsa nel centro della città, bar e distillerie clandestine abituate alle irruzioni della polizia… Roba passata… ora non esistono più associazioni criminali che gestiscono il traffico di sostanze illegali, nessuno più le importa, le produce o le distribuisce… O sì?
Il più grande business della mafia è la droga.
Un esempio eccellente che non si vuole seguire
La percezione del concetto di droga è totalmente avvolta da valutazioni culturali: basti pensare a paesi come la Giamaica o, più vicini a noi, i Paesi Bassi, in cui il consumo di marijuana, nel primo caso, e di marijuana e hashish, nel secondo, fa parte della vita quotidiana di molte persone, proprio come da noi è abituale l’aperitivo al bar o la birra al pub la sera.
Per il rastafarianesimo, la religione praticata in Giamaica, il consumo di erba è addirittura necessario per entrare in contatto con la divinità, ed è praticamente impossibile che un seguace non ne faccia uso. Ad Amsterdam e dintorni le nostre “ex droghe leggere” sono legali da decenni e si possono fumare nei celebri coffee-shop, alcuni di essi veri e propri locali storici per la (ex) gioventù olandese ed europea. Sì, perché il “turismo della droga” nei Paesi Bassi è molto sviluppato, a causa del fatto che, essendo l’unico stato in cui si possono usare tranquillamente queste sostanze, tutti i “devoti” europei si recano almeno una volta nella vita in quel di Amsterdam per godere di una provvisoria libertà.
L’utilizzo di questa politica ha permesso la riduzione dei consumatori, sia delle cosiddette droghe leggere, sia di quelle pesanti, perché le forze dell’ordine, invece di preoccuparsi per il ragazzino che si fa uno spinello, si concentrano nel contrastare lo spaccio dell’eroina e della cocaina. Inoltre, anche nei confronti dei tossicodipendenti e di chi fa uso di sostanze illegali, lo Stato non è repressivo e moralista, bensì fornisce un aiuto concreto alle persone, dando loro la possibilità di utilizzare, ad esempio, siringhe sterilizzate per non scambiarsi malattie.
Esiste anche un servizio che, fuori dai locali notturni, permette di analizzare la composizione chimica delle pastiglie acquistate, per assicurarsi che non contengano sostanze dannose.
Perché legalizzare ha solo aspetti positivi
Purtroppo le normative europee, invece di tenere in debita considerazione la positiva esperienza olandese, tendono a disincentivare questo tipo di approccio: scegliere tale direzione vorrebbe dire combattere l’illegalità e garantire a chi liberamente decide di fare uso di droghe di farlo in tutta sicurezza, ma prevale la linea della chiusura, del perbenismo e della stupida idea che “la droga fa male e va eliminata”. Oltre al fatto che non è possibile controllare e quindi stroncare l’intero processo che riguarda la produzione, la distribuzione e il consumo di sostanze illecite, esso viola il principio della sacrosanta libertà individuale. Si tratta del concetto di crimine senza vittima, ovvero quelle azioni che sono illegali ma che non portano direttamente a provocare un danno ad altre persone.
Una legalizzazione graduale potrebbe produrre soltanto benefici:
– l’eliminazione di una grossa fetta dei guadagni delle associazioni criminali;
– la possibilità di produrre e consumare sostanze “buone”, il meno dannose possibile per la salute, essendo sicuri della qualità di quello che si sta assumendo, con tutte le precauzioni necessarie;
– ulteriori introiti per lo Stato o per le aziende e i negozi;
– eliminazione del “gusto del proibito” che spesso spinge i più giovani a voler provare esperienze “estreme” solo per sentirsi grandi e coraggiosi;
– prezzi notevolmente ridotti perché viene meno il “costo del rischio” e si riducono i passaggi.
Penso che in una società che si reputi “civile” non dovrebbe esistere alcun divieto né obbligo di stampo morale, in quanto la distinzione tra giusto e sbagliato, ovviamente entro certi limiti, è totalmente a discrezione dell’individuo. La “Legge” dovrebbe “limitarsi” a difendere i cittadini e a tutelarne la libertà, non a ridurla e imbrigliarla secondo i propri capricci, dovrebbe garantire a tutti di poter agire e pensare secondo la propria coscienza e non imporre direzioni da seguire e linee di pensiero.
L’immagine: una spirale di fumo…
Luca Manni
(LM BO n. 2, 15 aprile 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 40, aprile 2009)