Intervista al geologo marino bolognese Diego Paltrinieri sul Marsili Project Eurobuilding, che consentirà lo sfruttamento di energia geotermica “off-shore” grazie a uno dei grandi vulcani del mar Tirreno
Il Marsili è uno dei vulcani più estesi d’Europa, lungo 70 km e largo 30 km. Si eleva per circa 3.000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno. È ritenuto, con il Magnaghi, l’adiacente Vavilov e il Palinuro, fra i vulcani sottomarini pericolosi del Tirreno. Tale vulcano, grazie al Marsili Project Eurobuilding, può diventare la prima fonte di approvvigionamento di energia geotermica off-shore della storia, aprendo la strada a una fonte energetica nuova, pulita e inesauribile. Il progetto potrebbe apportare grandi benefici alla comunità nazionale. I numerosi vulcani presenti nel Tirreno meridionale, situati al largo delle coste siciliane, calabresi e campane, rappresentano una fonte di calore notevole. L’acqua surriscaldata acquista un potenziale calorifero, che può essere trasformato in energia elettrica, paragonabile a quello generato dalle più grandi centrali geotermiche mondiali o a impianti nucleari di media grandezza. Abbiamo intervistato Diego Paltrinieri, geologo marino bolognese, responsabile della comunicazione scientifica legata al MarsiliProject Eurobuilding.
Può dirci qualcosa sul Marsili?«Il Marsili è un vulcano sottomarino che si trova nel Tirreno meridionale, nell’arco insulare eoliano, a circa 150 km a ovest della Calabria e a 140 km a nord della Sicilia. Fu scoperto negli anni venti del XX secolo e venne così denominato in onore di Luigi Ferdinando Marsili, vissuto nel Settecento e fondatore dell’oceanografia marina».
Qual è la probabilità di eruzione del Marsili e qual è il suo tipo di attività?«È un vulcano molto grande, uno di quelli sommersi del basso Tirreno. Non erutta da tempo imprecisato, ma ha una elevata attività geotermica. Il vulcano si comporta come un bollitore: abbiamo trovato a circa 10 km di profondità la camera magmatica. In essa il magma risale lentamente, ma resta all’interno. Non è come il Vesuvio: è più di tipo effusivo. Il corpo del vulcano, all’interno, ha fratture e l’acqua si infiltra. Su questo bollitore abbiamo un coperchio costituito da uno strato sedimentario, ma l’acqua dentro è sotto una pressione che supera i 200 bar. Si ipotizzano 400-500 gradi di temperatura. Siamo in una fase della vita del vulcano matura per sfruttare la geotermia, perché il suo magma ha alta capacità di generare elettricità».
Il Marsili potrebbe scatenare uno tsunami nel Mediterraneo?«Eurobuilding non avrebbe portato avanti un progetto di questo tipo se ci fossero stati seri rischi in tal senso, anche perché ci sono investimenti rilevanti. Abbiamo già fatto delle valutazioni tenendo conto delle indicazioni fornite dalla protezione civile. L’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha esaminato tutta la zona siciliana, calabra e campana: non sarebbero stati rilevati tsunamiti (tracce di maremoto, ndr). Risulterebbe dunque che non ci siano stati fenomeni di tsunami importanti nelle ultime migliaia di anni. Si tratta di una questione molto delicata. Gli istituti di ricerca preposti, appena sarà possibile, forniranno con meticolosità tutte le informazioni di tipo ambientale concernenti la sicurezza. Sono in preparazione documentazioni specifiche allo scopo. Proprio collateralmente a tal progetto, l’Ingv intende creare una rete di monitoraggio permanente, finanziata con fondi europei e della Regione siciliana: s’intendono posizionare dei prototipi di rilevamento nel Tirreno meridionale in grado di fornire dati 24 ore su 24 tramite Internet. Non si tratta di fantascienza. Esiste già un progetto canadese, il Neptune Canada, con un osservatorio subacqueo costituito da prototipi collegati direttamente a Internet. L’Ingv guida un analogo progetto europeo, l’European Multidisciplinary Seafloor Observatory: si tratta di una rete di osservatori marini per il monitoraggio e lo studio dei processi di varia natura che hanno luogo nelle profondità oceaniche (cfr.http://www.emso-eu.org/management/, ndr). È un investimento importante sulle energie rinnovabili, anche per i suoi possibili sviluppi».
Quali enti si occupano del progetto?«Il progetto è nato da un’idea del professor Patrizio Signanini dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti, ed è stato sviluppato dalla Eurobuilding S.p.a., che ha impegnato in tale sperimentazione una squadra costituita dai più importanti organismi di ricerca del settore: l’Ingv, il gruppo tecnico scientifico dell’Università di Chieti, coordinato da Signanini, e il Centro di ricerche e studi sperimentali per le geotecnologie dell’Università di Chieti, l’Università politecnica di Bari, l’Istituto di Scienze marine del Cnr e quello di geologia marina di Bologna» (cfr. http://www.eurobuilding.it/, ndr).
A che punto è il progetto?«Il permesso di ricerca deve terminare con una perforazione e una dimostrazione; la fase del progetto che ci consente di poter dire quali zone del Marsili si possano sfruttare è terminata; si può quindi indicare dove realizzare i pozzi pilota. Da questo momento può partire la seconda parte, per la “coltivazione” di un campo geotermico. L’obiettivo è di ricavare quattro piattaforme senza fare troppi scavi: con quattro o cinque pozzi ricaveremo 200 megawatt, pari a una centrale nucleare di media potenza. Quella porzione del basso Tirreno è molto ricca. La geotermia è nata più di un secolo fa a Lardarello, in Toscana, ma la popolazione si oppone a causa delle esalazioni velenose. Nel nostro caso, invece, le piattaforme saranno poste a 80-100 km dalla costa, dove non abita nessuno: il Ministero dell’Ambiente guarda con favore tale a progetto, perché si tratta di un sistema geotermico aperto. Due mesi fa è stato approvato un decreto, sulla base del quale l’energia geotermica è stata inserita come energia alternativa nazionale. Sarà il primo impianto off-shore di geotermia e, nell’ottica delle energie rinnovabili, fornirà una bella immagine per l’Italia ».
Cosa si è ottenuto e cosa si vuole ancora ottenere?«È già partita la prima fase del progetto, che prevede l’esplorazione della zona interessata. Durante le campagne sottomarine – usando tecnologie e metodologie di lavoro nuove sviluppate negli ultimi dieci anni e in grado di fornire gli indicatori della presenza di attività geotermica – sono già state rilevate fonti di energia geotermica: sono presenti, infatti, dei geyser. Entro la fine del 2013 partirà la seconda fase del progetto, che prevede la realizzazione di perforazioni attraverso una piattaforma semisommergibile (drilling ship): saranno realizzati trivellamenti fino a 2.000 metri di profondità per trovare energia. Il primo pozzo pilota si prevede nel 2013-2014, per una centrale geotermica intorno ai 200 megawatt, e la prima unità produttiva offs-hore potrà entrare in funzione intorno al 2018-2020. A essa potranno seguirne altre: non si esclude che altre tre possano essere costruite anche parallelamente».
Quale il vantaggio del progetto?«Il vantaggio di tali operazioni è quello di poter generare energia elettrica dalla geotermica con minore dipendenza energetica dai Paesi esteri. È uno scenario che potrebbe voler dire che nel 2030-2050 l’energia geotermica potrebbe apportare un 5-10% di quella prodotta a livello nazionale. Si tratta di energia geotermica italiana pulita, non dipendente dai conflitti internazionali. La sfida è questa. Se il Marsili Project funzionerà, si potrà produrre energia tra 800 megawatt e 1 gigawatt. Questo progetto apre, dunque, le porte a una fonte energetica pulita e inesauribile».
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Le immagini: il geologo Diego Paltrinieri, il Marsili e le strumentazioni per il Marsili Project Eurobuilding.
Dora Anna Rocca
(LM MAGAZINE n. 26, 15 ottobre 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 82, ottobre 2012)