Quattro musicalità diversissime tra loro, ma tutte da ascoltare: le nuove realizzazioni di Caron Dimonio, Dingecco, HLFMN, Diana Tejera…
Questo mese intendiamo segnalare quattro dischi usciti proprio poco prima o poco dopo l’inizio della primavera. Si tratta di opere stilisticamente molto diverse tra loro, ma che hanno in comune l’originalità del sound e l’ottimo livello artistico. Eccone, di seguito, una loro breve descrizione, in rigoroso ordine di immissione sul mercato.
Cominciamo, pertanto, con il nuovo disco (il quarto) dei Caron Dimonio, già duo nato circa dieci anni fa a Bologna, costituito da Giuseppe Lo Bue (synth, drum machine, chitarra, piano e voce) e Filippo Scalzo al basso, ai quali si è aggiunto come terzo elemento Lorenzo Brogi alla batteria. Il nuovo disco s’intitola Porno Post Mortem (Atmosphere records) ed è stato prodotto – e si sente! – dal genialmente creativo Gianluca Lo Presti, di cui ci siamo già occupati più volte [vedi Nevica, «di noi rimane solo il nostro suono»; Il viaggio cosmico di Nevica su Quattropuntozero; Smarrirsi (e ritrovarsi) ai confini dell’io]. Le dieci tracce scorrono agili, piacevoli quanto emozionanti all’ascolto con calibrati e arricchenti inserimenti di elettronica e di synth, che si incuneano benissimo entro l’originario profilo electro, noise e postpunk del duo iniziale. La tematica centrale del lavoro è il binomio Eros/Thanatos, sviluppata con testi non narrativi, anzi spesso ermetici e visionari. Sono presenti riferimenti artistici ad Arthur Rimbaud (quarto brano) e a Francisco Goya. Da non perdere, anzi da ascoltare e riascoltare Quinta del sordo, dedicata appunto alla celebre abitazione del pittore spagnolo, tutta dipinta con alcune delle sue più famose e inquietanti pitture.
Il secondo disco che intendiamo sottoporre all’attenzione dei lettori è caratterizzato da una splendida e duttile voce femminile. Lei è Diana Tejera, cantautrice, polistrumentista e produttrice in quel di Roma ma di origini andaluse e già con una lunga carriera e prestigiosi riconoscimenti alle spalle. Libre (Giallo Ocra Edizioni) è la sua nuova, eclettica creazione. Basti pensare che gli undici brani contenuti nel disco sono cantati in francese, inglese e spagnolo e presentano stili e musicalità diversi. È proprio Diana a essere il loro comune denominatore, il che permette all’artista di mostrare al massimo la propria bravura e versatilità. Anche in questo lavoro abbiamo notevoli riferimenti culturali: il brano che dà il titolo al cd è la trasposizione in musica di una poesia di Jacques Prevert. Il più bello? Provate con la carezzevole Volvere!
Con il prossimo disco entriamo in un’atmosfera ben diversa, sperimentale, dancefloor, ambient e dalle infinite influenze sonore, che quasi assume il dominio sull’autore, invece di essere creata, controllata e modellata dallo stesso. Non a caso, per Bacanadera (produzione Waste Noise), l’artista parla di «una sorta di possessione sciamanica» e, tanto per restare in ambito colto, di inconscio junghiano e di James Hillman. Lui è il perugino D.In.Ge.Cc.O., aka Gianluca D’Ingecco (vedi qui una nostra precedente recensione). Sulla consueta mescolanza di elettronica o electropop con jazz, funky, disco, dance, house, groove e world music, stavolta il musicista inserisce ampiamente la musica sudamericana (dalla brasiliana a quella argentina, dalla rumba fino alla musica andino-peruviana) e latinoamericana, che, anzi, costituiscono il timbro dominante del suo nuovo lavoro. Dunque, ritmi caldi e sensuali, coi quali l’io si lascia trascinare verso il flusso dell’inconscio, della natura e della vita. Delle dodici tracce di Bacanadera, vi consigliamo in particolare la quinta, la trascinante The Great Savage Concert, il cui titolo non potrebbe essere più esplicativo di così.
Ancora diverso è il quarto disco che analizziamo: tenebroso e dark, eppure anch’esso guidato dall’inconscio e dalla ricerca verso il metafisico, nonché da forme di spiritualità non occidentali quali il Taoismo, il Qi-Gong o la mitologia dell’Estremo Oriente. Sicché, negli otto componimenti di Double Mirror, nuovo lavoro discografico autoprodotto di HLFMN (ovvero Half Man), il mondo materiale e quello immateriale, la realtà di superficie e quella mistica, si uniscono, tra ritmi house, sonorità tribali e aperture eteree e sognanti. Del resto, questo doppio versante è ben rappresentato dal look del producer romano, che occulta la propria identità dietro una maschera divisa a metà (appunto, half man, metà uomo) in quanto nell’essere umano le due dimensioni convivono e comunicano. Esemplifica bene lo spirito del disco la terza traccia, Hades, sebbene per l’ascoltatore sia più fruibile la quarta, Tunnel.
Infine, alcune altre segnalazioni, necessariamente veloci per mancanza di spazio. Dieci brani cantautorali melodiosi, dai contenuti spesso personali: così Dragoni esordisce con Incagli (Big Lakes/Mangiare Bene Dischi). Molto dolce anche il debutto degli mt/solo (i toscani Matteo Ficozzi e Tommaso Bitossi) con Pezzetti (Cobalto Dichi/Labella Dischi): nove tracce che sviluppano racconti tra realtà quotidiana e introspezione psicologica. Senz’altro più rockeggianti e talvolta aggressive le dieci Canzoni per adulti (Brutture Moderne) di Cappadonia: infatti il cantautore siciliano (ma trapiantato a Bologna) si distacca spesso dal proprio io per lanciare messaggi di collettiva protesta sociale. Preferisce l’autoproduzione il duo cesenate LOMII (i ventisettenni Emily Capanni e Lorenzo Brighi) per il suo primo disco, We are an Island: dieci componimenti incentrati sul tema del viaggio e dalle riconoscibilissime peculiarità tra il folk inglese e quello californiano, tutto on the road. E, come sempre, buon ascolto.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 197, maggio 2022)