Esplosione di proiettili comunicativi o frutto di un cambiamento epocale?
Negli ultimi anni abbiamo assistito al moltiplicarsi di dichiarazioni violente nel discorso politico quotidiano. L’odio si sta diffondendo soprattutto in rete tramite l’uso di stereotipi, dichiarazioni razziste o discriminatorie verso persone Lgbt, donne, minoranze religiose e rom. In Italia il partito che più di tutti sta cavalcando quest’onda è la Lega del ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Ma l’Italia non è l’unica colpevole; basti pensare a tutti i partiti populisti affermatisi nell’ultimo periodo storico: Front national in Francia, Podemos in Spagna, Partito per la libertà nei Paesi bassi, Alba dorata in Grecia, il Partito pirata in Islanda, Afd in Germania, Ukip nel Regno Unito e Fidesz in Ungheria. Per questo si sente spesso parlare di deriva populista (vedi, in questo stesso numero di LucidaMente, Il populismo da Aristotele a Gramsci). Ma quale legame ha questa ascesa politica con lo sviluppo dell’astio verso gli stranieri quasi come ritorno alla difesa della razza? Prima di procedere è bene chiarire cosa si intenda per partiti populisti e a cosa facciamo riferimento quando parliamo di difesa della razza.
I populismi e la promessa di riscatto del popolo ‒ Ciò che accomuna i movimenti populisti è l’appello al popolo, mobilitazione che si può sviluppare in vari modi, abbozzando proposte variegate in base alle diverse realtà nazionali. In questi casi il popolo viene idealizzato e studiato per intercettarne il malcontento, così da arrivare a prometterne il riscatto. Tratto comune di questi movimenti è spesso l’astio verso gli stranieri, per cui si potrebbe oggi parlare ancora una volta di difesa della razza, in risposta ai sentimenti di paura diffusi.
La difesa della razza, il ritorno di un’espressione di epoca fascista ‒ Quali valori richiama quest’espressione? A quali situazioni passate si fa involontariamente riferimento? La difesa della razza è il titolo della rivista diretta dal giornalista fascista Telesio Interlandi, che vide il suo primo numero il 5 agosto 1938 ‒ dopo la promulgazione delle leggi razziali ‒ e in cui si facevano resoconti pseudoscientifici e statistici per sostenere la superiorità della razza ariana alla quale gli italiani sarebbero appartenuti. La difesa della razza è anche il titolo di una recente ‒ e consigliatissima! ‒ trasmissione di Gad Lerner su Rai 3, in cui si indagano le motivazioni storiche e relazionali della diffidenza di un buon numero di italiani verso le culture di ebrei, africani, cinesi, rom e islamici. Nella ricerca delle motivazioni profonde che possono aver portato a questa condizione abbiamo rintracciato due motivazioni principali. Innanzitutto la rappresentazione della realtà fornita dai media mainstream è troppo superficiale e talvolta inesatta. È chiaro come, per via delle necessità di audience che si celano dietro i mezzi di informazione, l’obiettivo sia sempre più quello di intrattenere il lettore e non di informarlo. E così l’ostilità verso i migranti è stata alimentata da discorsi che incitano all’odio, fake news, stereotipi e luoghi comuni ormai diventati veri e propri miti.
L’Italia è stata lasciata sola a gestire la crisi dei migranti ‒ Annalisa Camilli su Internazionale analizza alcuni tra i più comuni falsi miti; tra questi troviamo l’idea secondo cui l’Italia sia stata lasciata sola nella gestione della crisi dei rifugiati iniziata nel 2014 e il frequente modo di dire secondo cui gli immigrati ci rubano il lavoro. Per quanto riguarda la prima questione, da un lato è certamente vero che Italia e Grecia hanno dovuto affrontare pressoché da sole la crisi dei migranti del 2015, ma è altrettanto vero che si è lavorato a un progetto che eliminasse la problematica all’origine, ovvero la riforma del Regolamento di Dublino. Inoltre, nel marzo 2016, grazie a un accordo tra Unione europea e Turchia, la rotta dei Balcani è stata chiusa e gli arrivi verso la Grecia si sono decisamente ridotti. Circa un anno dopo, per via dell’intesa tra il governo Gentiloni, col ministro dell’Interno Marco Minniti, e quello di Tripoli, anche gli arrivi sulle coste italiane sono drasticamente diminuiti. Nonostante la riduzione degli sbarchi, in Italia si continua a parlare di invasione; ma in realtà l’Italia non è il paese che effettivamente ospita più rifugiati e richiedenti asilo: è la Germania con le 325.370 persone a cui è stato concesso lo status di rifugiato, contro le 35.130 in Italia (Fonte: Unhcr).
Gli immigrati ci rubano il lavoro ‒ Altro stereotipo diffuso vedrebbe gli immigrati diretti concorrenti per gli italiani sul posto di lavoro. Ma la verità è che gli immigrati assumono le posizioni meno qualificate, progressivamente abbandonate dagli italiani, in particolare negli ambiti dei servizi alle persone, dell’edilizia e dell’agricoltura. Solitamente questi sono i settori in cui le paghe sono più basse, i contratti precari e senza tutela e il lavoro è prevalentemente manuale.
Colpe storiche: il colonialismo ‒ Se andassimo un po’ indietro nel tempo, ci accorgeremmo che questa errata rappresentazione della realtà ricorre fin dai tempi del colonialismo. Gli abitanti del continente africano sono stati sempre rappresentati dal racconto occidentale o in un’ottica razzista o in una di tipo assistenzialista. Come dice Youssou ’n Dour (il cantante senegalese di Seven Seconds) a Lerner, «l’Africa non è solo Aids e miseria, ma a Dakar c’è la luce… c’è tutto, abbiamo una buona qualità della vita… ma voi non lo fate vedere». Anche secondo Angela Davis la situazione di oggi trova le sue radici fin dall’epoca del colonialismo, in quanto la dominazione occidentale sui paesi del Sud del mondo aveva alla base proprio il razzismo. Si tratta di una colpa storica, per via della mancata capacità degli stati colonialisti di affrontare la propria storia.
La globalizzazione ‒ Abbiamo poi rintracciato l’altra causa nell’evolversi del fenomeno della globalizzazione, la quale fa sì che non ci siano più confini, non ci siano volti, non sappiamo più cosa sostenere e contro chi scagliarci. Il vuoto di proposta politica dei partiti non populisti ha permesso ai populisti di inserirsi nel discorso pubblico facilmente. I populisti ci dicono chi sono gli altri e oggi è fondamentale perché nella rappresentazione dell’altro riusciamo a definire noi stessi, cosa che altrimenti oggi non sapremmo fare! [A proposito di globalizzazione si vedano gli articoli Renato Cristin spiega la grande macchina globalista e Diego Fusaro: la rivolta contro l’ordine economico mondiale].
D’altra parte, però, c’è chi sa parlare alla pancia delle persone ‒ Quando il già citato Salvini parla di campi rom, sa che diversi cittadini italiani si sentono minacciati da loro e quindi sa di averli dalla propria parte, ma sa anche che gli esseri indifesi non possono essere toccati, così parla di censimento dei rom a favore degli italiani e della loro sicurezza, ma fa poi riferimento all’obbligo di frequenza scolastica per i bambini. Anche quando parla di aiutare i migranti a casa loro, fa riferimento alle condizioni inumane in cui vivono nei centri di accoglienza, in qualche modo per giustificare le dichiarazioni politicamente scorrette.
Il proiettile giornaliero ‒ Questo è in fondo un meccanismo che si colloca all’interno di un nuovo modo di fare informazione e di conseguenza politica: lancio un proiettile, esplode e poi tutti se lo dimenticano. È la logica del successo della musica di oggi e dei contenuti virali sui social network. Così stanno facendo Movimento 5 stelle e Salvini. Quest’ultimo, dopo aver lanciato la proposta del censimento dei rom, dopo pochi giorni ha provato a proporre di togliere la scorta al giornalista anticamorra Roberto Saviano. Tra le due dichiarazioni non c’è un nesso ideologico o un programma ben preciso, ma solo la volontà di far parlare di sé e ottenere un maggior numero di visualizzazioni. Dobbiamo dunque trovare il modo per far sì che la sua propaganda non attecchisca. Ma non possiamo né ignorarlo, né criticarlo continuando a fargli un favore. Allora l’unica strada rimasta non è forse alimentare il nostro spirito critico e la nostra capacità di approfondimento delle tematiche che interessano il bene della nostra società?
Sara Stradiotti
(LucidaMente, anno XIII, n. 151, luglio 2018)