La vendetta nei (e dei) B-movies nel nuovo film del regista Usa
È nei cinema da alcune settimane l’ultima fatica del regista Quentin Tarantino, Django Unchained, una sorta di omaggio personale a una nota serie di film di fine anni Sessanta (il capostipite è Django, del 1966, di Sergio Corbucci) e al genere dello spaghetti western. Questa nuova opera del regista statunitense rappresenta una summa dei temi e della visione del suo cinema, nel quale viene riconfermata la centralità del tema della vendetta.
In tutti i film di Tarantino, da “Le Iene” a “Grindhouse”, da “Pulp Fiction” a “Bastardi senza gloria”, la vendetta assume il ruolo di motore dell’azione dei personaggi. L’azione umana è quasi sempre orientata verso questa prospettiva materiale, priva di un riscatto eticamente coerente che si dissoci dalla violenza: i “buoni” sono tali perché sono vittime che finiscono per eliminare i “cattivi” con gli stessi mezzi di questi ultimi. In Bastardi senza gloria questo meccanismo è riscontrabile proprio nel gruppo dei Bastardi, soldati ebrei americani, che seviziano e uccidono le truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale. Nel dittico Kill Bill vol. 1/2 la distinzione tra il bene e il male era molto più sfumata e ambigua, tale da risultare quasi impossibile, alla fine, considerare personaggi come lo stesso Bill integralmente cattivi o la stessa protagonista (la Sposa) come univocamente buona, essendo inseriti in un gioco talmente fitto di vendette che in ultima analisi raramente si dà il caso di una violenza del tuttogratuita e non piuttosto “giustificata” dal desiderio di rivalsa sull’altro.
Tarantino si è divertito, nei suoi ultimi due film, a inserire il gioco della vendetta all’interno di cornici “storiche” con esiti paradossali: in Bastardi senza gloria Hitler viene ucciso per mano ebrea (nel luogo della finzione per eccellenza, all’interno di un cinema) e in Django Unchained uno schiavo liberato uccide uno schiavista, sterminandone la famiglia e gli scagnozzi, nel sud degli Stati Uniti poco prima della Guerra Civile. Dal punto di vista dello stile il pluripremiato regista americano continua sulla strada del rendere omaggio ai cosiddetti B-Movies, in un divertissement citazionista così ricco di riferimenti da trasformare ironicamente quella sub-cultura cinematografica in uno stile ricercatissimo ed “erudito”, in cui pezzi di battute, minuscoli dettagli nei costumi dei personaggi, musiche e persino movimenti di camera o effetti di luce nella pellicola fungono da richiamo e costruiscono quasi un’enciclopedia. I B-movies, che erano stati a lungo marginalizzati e disprezzati dalla critica, con il regista americano giungono trionfanti a conquistare un ruolo di primo piano e vengono premiati nelle più importanti kermesse internazionali. La vendetta di un genere.
Il successo dei film di Tarantino è dunque assicurato presso due tipi di pubblico: quello di spettatori disimpegnati, che cercano l’azione a tinte crude e spettacolarizzata, e quello colto di cinefili (come lo stesso regista), divertiti dal gioco postmoderno e allo stesso tempo fortemente personalizzato di uno dei più notevoli cineasti dei nostri anni.
Monica Di Rosa
(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)