La sua eredità morale e intellettuale trapela anche dal suo ultimo scritto
Dopo una coraggiosa lotta contro la malattia durata tre anni, non è più tra noi Alessandro Scansani, cattolico-progressista, fondatore, direttore e “leader” delle edizioni Diabasis, punto di riferimento per gli studi civili, politici e storici dell’Emilia-Romagna e non solo. Riportiamo dopo questo breve ricordo le sue ultime parole, scritte il 28 marzo scorso sul suo Giornale minimo, nel quale denunciava il degrado politico attuale. A chi scrive queste poche righe resta il rimpianto di aver conosciuto Alessandro solo poco tempo prima della sua scomparsa, periodo sufficiente comunque ad apprezzarne le doti intellettuali (la cultura, l’impegno, la preparazione) e umane (l’onestà, la signorilità, la disponibilità, la capacità di ascoltare tutti con rispetto e pazienza). Addio, carissimo Alessandro.
L’ultimo scritto di Scansani
«Riemergo […] con poca voglia di moralismi in grasse mutande alla Ferrara barattate per libertà e per un presidente, delle cui balle siamo stanchi e di cui ci vergogniamo, un presidente ridicolo con nessun rispetto delle regole, chiunque sia a portarle o a doverle portare, se le regole si devono portare. Non sono mai stato comunista, per cultura, sono stato duramente antifascista con rispetto attuale per Fini, coscientemente repubblicano, e socialista municipale. Sappiamo che la sinistra cela la realtà, la destra spesso la svela. La sinistra rischia di nascondere, non vedere, la destra invece di vedere. Ho apprezzato e apprezzo alcuni ministri e sottosegretari, vedo con disgusto e con vergogna quel codazzo di servi sottosegretari e ministri piduisti di avvocati portati in Parlamento, gli esperti! per salvare Berlusconi dalle istituzioni, dalle regole dagli errori mai ammessi. Se ne torni a casa, alle sue ville, il puritanesimo falso, il moralismo famigliare. E anche la Chiesa, con questo presidente, ha imparato a vergognarci: la grande Chiesa che fa orrore e la piccola Chiesa che fa tenerezza, come Macondo. L’editoria ha consumato troppe parole, e la cultura vive di parole che sono vive e libere e che non possono continuare a vivere con vergogna nella menzogna di un popolo. Che qualcuno abbia anche il coraggio o l’orgoglio di dire no. Questa è una classe politica a cui la cultura, e la cultura politica, non interessano, che ride, che si diverte, che non ha il senso della solidarietà, che non ha cura dei nostri figli, che baratta la cura dei tumori per il milleproroghe. Mi auguro che mio figlio rimanga ancora a lungo al suo dottorato di Hong Kong».
Rino Tripodi
(LucidaMente, 12 aprile 2011)