Dalla penna dei creatori di “Black Mirror”, il finto documentario che analizza – e deride! – uno degli anni più complessi della storia recente
Siamo tutti d’accordo nell’affermare che il 2020 (anno bisestile!) abbia messo chiunque a dura prova: coronavirus, lockdown, crisi ambientali, guerre, attacchi a Capitol Hill, sono solo alcuni degli avvenimenti più rilevanti dell’anno da poco concluso. Charlie Brooker e Annabel Jones, gli ideatori della serie distopica Black Mirror, hanno deciso di girare per Netflix un finto documentario (quello che, per l’appunto, viene definito un mokumentary) per offrire un riassunto pungente dei fatti più importanti avvenuti in quei dodici mesi: Death to 2020.
Esso ripercorre in ordine cronologico tutte le vicende di questo annus horribilis, partendo dagli incendi che lo scorso gennaio hanno messo in ginocchio l’Austrialia e terminando con le elezioni presidenziali Usa dello scorso novembre. In poco più di un’ora veniamo condotti in un viaggio, a tratti straniante, che cerca di condensare tutto ciò che è accaduto nei 366 giorni del 2020. Il tema del coronavirus la fa ovviamente da padrone, accompagnato da argomenti a esso legati: vengono citati i lockdown imposti dai vari Paesi del mondo e le politiche (non) adottate per contrastare la pandemia, in particolare quelle di Boris Johnson e di Donald Trump. Non mancano le tematiche sociali, in riferimento al movimento Black Lives Matter e alle proteste negli Stati Uniti della scorsa estate.
Sono molti i personaggi che si susseguono nel racconto degli eventi citati nella pellicola: degni di nota sono un giornalista del New Yorkerly News (interpretato da Samuel L. Jackson), uno storico inglese (Hugh Grant), una portavoce della Casa Bianca (Lisa Kudrow, l’amata Phoebe di Friends), financo la regina Elisabetta II. Ognuno di loro offre il proprio punto di vista sui fatti, con gag e battute davvero brillanti. Si tratta di personaggi ben caratterizzati, con dei tratti volutamente caricaturali: ciò fa sì che la linea di demarcazione tra realtà e satira non sia sempre chiaramente individuabile.
Il “mockumentary” targato Netflix è impregnato di un british humor (gli ideatori sono entrambi inglesi) che emerge chiaramente dalle battute dei personaggi: per chi non è avvezzo a un simile stile di comicità può risultare fastidioso e, in alcuni contesti, addirittura irrispettoso. Se, però, si riesce a immedesimarcisi, Death to 2020 risulta essere un prodotto godibile, senza grandi pretese ma al contempo ben realizzato. Gli eventi presi in analisi sono solo un pretesto per far emergere il vero nocciolo della questione: la natura umana. Sebbene i protagonisti siano degli archetipi di umanità (ne è un esempio lampante Kathy, stereotipo della “Karen” americana), essi fungono da specchi di noi stessi, evidenziando i nostri difetti e le nostre contraddizioni.
Le immagini: il manifesto del documentario Death to 2020 e alcune stamp del film, proprietà di Netflix.
Isabella Parutto
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 182, febbraio 2021)