Con Esportare la libertà. Il mito che ha fallito (A. Mondadori, pp. 112, € 12,00), Luciano Canfora intende richiamare alla memoria gli avvenimenti connessi al tema della libertà e tentare di interpretarli alla luce della conoscenza attuale. Fin da subito, l’autore appare lucido nelle proprie analisi, sorretto sicuramente dagli ampi studi compiuti sulle dinamiche umane e sociali e sulle tendenze politico-antropologiche.
Canfora, oltre a essere uno storico, è infatti un filologo di Antichità classiche, cattedratico dell’Università di Bari, esperto conoscitore di testi e attento osservatore delle tracce del passato giunte fino a noi. Questa sua attitudine è particolarmente preziosa per entrare nel cuore degli avvenimenti e leggerli al di fuori di un’ottica conformista.
Il tema della libertà – L’argomento viene trattato in modo diverso dalla consueta ricostruzione cronologica. L’autore non parte da una premessa per giungere a conclusioni definitive, ma – come è sua peculiare caratteristica – sviluppa man mano il tema in modo dinamico e coinvolgente, come in un discorso dal vivo. Vengono trattati e analizzati avvenimenti drammatici tuttora in corso e avvenimenti del passato, che inducono a ritenere che, nella storia, la libertà non è mai stata conseguita né dopo guerre né dopo rivoluzioni. Neppure nell’Età di Pericle, il cui mito fu strumentalizzato per diverse ragioni politiche, la libertà fu figlia della guerra, né nacque successivamente alle rivoluzioni, come dimostrano gli esempi lampanti della Rivoluzione francese, con la sua deriva nel Terrore, e della Rivoluzione russa, con l’esito della dittatura. Risulta spontaneo allora pensare che i conflitti sanguinosi, portati avanti in nome della libertà, hanno poco a che fare con l’intenzione di garantire ai popoli soggetti il ritorno alla normalità e il ripristino della legalità.
Esempi di presunta “liberazione” – Già nell’antichità, Sparta e Atene, lanciate alla conquista del primato, hanno dato vita a numerose guerre con lo scopo di promuovere i loro ideali di libertà. Questa tendenza è arrivata fino a noi; basti pensare all’enorme numero di conflitti “di liberazione” che hanno accompagnato la storia moderna e contemporanea. Occorre però sottolineare che spesso questi interventi non sono graditi dai popoli interessati che si sentono unicamente schiacciati sotto il peso di calcoli imperialistici. Ricordiamo per esempio che anche i liberali italiani si dovettero ben presto ricredere sulla figura di un Napoleone “liberatore” dopo il trattato di Campoformio del 1797, quando Venezia fu ceduta all’Austria per opportunismo politico a favore della Francia, non certamente dell’Italia. Come ignorare poi i fatti dell’Ungheria nel 1956, della Grecia nel 1967, del Cile nel 1973, dell’Afghanistan nel 1979, della Cambogia e del Vietnam e ultimamente dell’Iran e dell’Iraq? Il mondo appare come una grande scacchiera in cui sempre più frequentemente entrano in gioco potenze internazionali che desiderano sperimentare l’apparato militare e il potere politico raggiunto o tendere ad altri subdoli miraggi, piuttosto che salvare veramente vite umane in pericolo.
In mancanza di condizioni interne… – Nelle strategie d’attacco vige spesso la retorica della propaganda, utile per rendere convincente l’occupazione e per nascondere l’inganno del successivo sconfinamento nella guerra civile. Può capitare che, in particolari, estreme condizioni, i paesi sviluppati e potenti mostrino una conclamata ed impellente necessità di soffocare i massacri di paesi vicini, attraverso interventi che dovrebbero peraltro essere garantiti da alti apparati istituzionali, creati appositamente al di fuori degli stati (ad esempio l’Onu), pronti ad offrire, per un breve periodo, un beneficio alle popolazioni occupate. Invece in nessuno degli ultimi drammatici interventi bellici ciò si è verificato, né la democrazia è stata per questo raggiunta, piuttosto la situazione s’è andata sempre più indebolendo, fino a mettere in crisi i governi dei paesi interessati e le diplomazie dei territori vicini. In Iraq l’esito catastrofico è sotto gli occhi di tutti, senza contare il pericolo attuale del terrorismo islamico che ha generato una spirale di sensazionali ricatti. In conclusione, le guerre non sono mai risolutive e promotrici di pace, ma disastrose e interminabili, tanto forse da far dimenticare i motivi per cui sono cominciate. La verità è una sola: nessuna forza può imporre dall’esterno la democrazia, a meno che non esistano già internamente le condizioni più adatte per accoglierla e per farla propria. Questo alto ideale di cui tanto si parla non è una merce facilmente esportabile. Piuttosto deve nascere da una consapevolezza interna e fondarsi sul consenso dei popoli, altrimenti porta alla barbarie.
L’immagine: la copertina del libro di Canfora.
Gaetanina Sicari Ruffo
(LucidaMente, anno III, n. 33, settembre 2008)