Biografia (immaginaria?) di Ivan Odradek, filosofo della carne, autore de “La pelle scoperchiata”
La biografia immaginaria – con annessa altrettanto fantastica bibliografia – è un genere del quale è maestro Jorge Luis Borges. Oltre al grande argentino, ammiriamo, come pensatori, alcuni filosofi geniali, che hanno aforisticamente illuminato l’uomo non banale e anticonformista con pensieri scolpiti col martello e provenienti dalle viscere. Stiamo parlando di Friedrich Nietzsche (vedi il nostro Ecce Nietzsche: all’aria aperta!) ed Emil Cioran, per non dire di Albert Caraco, il trasgressivo, straordinario intellettuale, di cui ci siamo già occupati in LucidaMente (leggi, a cura di chi scrive questa breve nota introduttiva, «Gli uomini sono come una lebbra»; e, ancora: Religioni? Il cancro del genere umano; «Le donne sono per noi un peso»; Fantasie erotiche (e critica sociale) oltre ogni limite)…
Riccardo Dal Ferro (cfr. l’intervista a lui e all’illustratore Marco Pasin, pubblicata in questo stesso numero di LucidaMente), nello splendido testo che vi apprestate a leggere di seguito, ha il pregio di unire la letteratura e lo stile di Borges, con la filosofia dei tre spiriti inquieti e inquietanti sunnominati. Aggiungiamoci – come suggerisce la stessa scelta del nome «Odradek» – un po’ di Franz Kafka. Cosa si può desiderare di più dalla pagina scritta? (r.t.)
Ivan Odradek l’Oscuro, filosofo
Di sfuggita, e solo se costretti, gli intellettuali d’oggi citano sporadicamente una delle migliaia di pagine scritte dal genio macedone. E, quando questo accade, è come se essi volessero fuggire via, veloci come il vento, per non essere catturati nella spirale di mistero e depravazione che aleggia attorno alla figura dell’Oscuro di Skopje.
Ivan Odradek, com’è noto (ma non così noto, soprattutto al mondo accademico), scrisse una e una sola opera nella sua vita. Nato nel 1876, figlio di un frate benedettino rinnegato, scomparso in latitanza durante la guerra civile, e di una bellissima zingara, morta dandolo alla luce, egli non si allontanò mai dalle mura della propria città natale, Skopje. Scelse di non far parte del mondo circostante, recluso nel tugurio della piccola abitazione ereditata dal padre, concedendosi soltanto, in quello che può poeticamente sembrare un tributo a quel Kant che tanto amava, una passeggiata serale lungo il Vardar, ogni sera della sua vita, fino a che, nel 1960, morì di febbre, solitario come un Eraclito moderno (da cui il soprannome “L’Oscuro”).
Della sua biografia, ufficialmente, c’è poco da dire. Di certo, l’elemento più interessante è rappresentato da ciò che le malelingue erano solite raccontare del pensatore, elemento che sorprendentemente sembra rivestire molta più importanza rispetto al suo immenso genio, persino in quei convegni di uomini di scienza i quali, per loro dignità, dovrebbero tralasciare le chiacchiere e attenersi ai fatti.
Ma, dal momento che siamo qui a discutere di filosofia, atteniamoci ai fatti e non alle stupide dicerie del popolino. Ivan Odradek lavorò per tutta la vita a una sola opera manoscritta, intitolata La pelle scoperchiata. Essa è un trattato di filosofia e antropologia ibridate magistralmente a elementi anatomici di grande competenza. Citiamo dal testo: «Il pensiero è nervo, e il nervo attraversa le carni. Nessuno può parlare di pensiero tralasciando l’elemento fisico che compone l’essere umano. Coloro che in passato cercarono di comporre una metafisica somigliano al suonatore di flauto che ha dimenticato, nella stoltezza della senilità, di intagliare quei fori utili a modellare ad arte il suono dello strumento».
Come si può intuire, la scrittura di Odradek è critica e decisamente aggressiva. Molte volte ci troviamo di fronte ad attacchi violenti nei confronti dei suoi avversari: «Cesare Beccaria e il suo libello, Dei Delitti e delle Pene, dovrebbero essere dissotterrati e ridotti di nuovo in cenere. L’unico diritto possibile, l’unica giurisprudenza si basa sulla carne; e, di conseguenza, l’unica condanna legittima si manifesta nel barbarico smembramento dell’imputato, nel gesto di dilaniare la sua pelle alla ricerca del seme di quel peccato commesso, cercandolo non tra gli elementi di una malriposta Ragione, bensì tra le fibre dei suoi muscoli straziati. Tortura, frusta, fuoco e sangue: solo questi sono i fondamenti di un Diritto che davvero possa chiamarsi tale. L’incarceramento è stoltezza borghese, pavidità di fronte alla potenza del Male. Il boia, macchiato dal sangue e dalle feci della vittima, è unico giudice e sovrano del patibolo!».
La grandezza di quest’opera deriva in parte dalla completezza delle trattazioni che Odradek propone, e dalla vastità delle conoscenze che ne emerge. Filosofia morale, giurisprudenza, medicina, letteratura: nella nostra ignoranza, crediamo che mai sia stata prodotta opera di tale portata. Essa tocca l’intero scibile umano in maniera così cruda e sincera da lasciare un segno indelebile sulla cultura stessa. Il macedone non si propone di creare un sistema, come vollero Hegel e Fichte; egli volle stravolgere il concetto stesso di sistema, rovesciare i paradigmi e metter sottosopra la storia del pensiero umano. Ciò appare manifesto in questo straordinario passaggio: «La filosofia, sino a oggi, altro non è stata se non un immenso errore, non v’è stata nient’altro che pavidità e superstizione, ed esse hanno condotto alla metafisica, alle religioni, al distanziarsi dell’uomo dalle proprie carni. Noi ci proponiamo di uccidere il pensiero morto per farlo rinascere in una carne che pensa dal di dentro: non animo, non spirito, bensì muscoli, polmoni, ghiandole, bulbi, nervi, fegato, vescica, cranio. Lì, non altrove, sta la filosofia».
Il capitolo III, intitolato Plasma, è evocativamente scritto in un rosso vivo. Le malelingue di cui sopra accusarono Odradek di aver utilizzato il sangue di una bambina scomparsa il 3 gennaio 1921 nei pressi dell’abitazione del filosofo, ma la polizia non trovò mai alcuna prova a suggello di tale infamia. Le pagine inchiostrate di rosso parlano del sangue come di un veicolo di pensiero straordinariamente potente, quasi un «veleno mistico», come lo chiama Odradek. Spesso le parti del corpo umano rivestono ruoli vicini alla magia, cosa questa che ha allontanato l’Oscuro dalle enciclopedie accademiche, che non lo vedono citato almeno da cinquant’anni.
La fisicità della sua filosofia traspare in ogni pagina dell’opera, come ad esempio nel capitolo dedicato al senso visivo: Bulbo. Scrive Odradek: «Nervo è il pensiero, e si dipana attraverso la vista, prodotta da un molle cumulo di candide cellule che, prese una ad una, altro non sarebbero che materiale organico utile solo per la cottura a fuoco lento. Nervo è la vista, perciò, e attraverso essa formiamo ciò che l’incompetente Platone definì Idea, la quale altro non è se non rimembranza di cose già viste». A pagina 764 del terzo volume manoscritto, ecco che incontriamo il disegno di un occhio in rilievo. Alcuni dicono che si tratti di un vero bulbo essiccato, schiacciato e incollato sulla pagina di pergamena, ma noi crediamo che i vasti talenti di Odradek sconfinassero anche nell’arte dell’illustrazione, arte posta a corollario del suo sconfinato genio. E poi, come si sarebbe potuto procurare un bulbo umano, dal momento che, quando morì, i suoi erano entrambi presenti nelle rispettive orbite? Sciocchezze popolari.
La pelle scoperchiata percorre la storia del pensiero attraverso le parti del corpo umano, in maniera minuziosa, guidando il lettore attraverso un sentiero che va dalle profondità del corpo fino alle sue superfici. Infatti, escludendo i primi volumi che parlano di cervello (Aracnoide, nella quale troviamo il bassorilievo di un ipotalamo perfettamente riprodotto in scala 1:1, che sembra quasi vero), di bocca (Labbra, volume la cui rilegatura sembra fissata con denti umani al posto delle normali cuciture, effetto spettacolare che denota un sorprendente senso della teatralità, per un uomo che passò la sua vita chiuso in casa) e di orecchie (Timpani), i restanti volumi partono dalle profondità del corpo, per approdare alle sue superfici, tenendo sempre alta l’attenzione sulla correlazione tra il corpo e il pensiero (Nietzsche stesso, in uno dei meno celebri Frammenti Postumi, elogiò Odradek: «L’Oscuro di Skopje è riuscito a distruggere Platone molto meglio di quanto io abbia fatto con il mio Zarathustra. La sanguinaria traccia del suo pensiero è un traguardo al quale non ho mai saputo arrivare. Egli è l’unico uomo del mio tempo che io possa definire con serenità Übermensch»).
Le dicerie popolari allontanarono ulteriormente il contatto umano che Odradek aveva con il resto del mondo. Fu accusato di cannibalismo, di alchimia, di tortura e rapimenti. Ma tutto questo dimostra solo l’invidia per il suo genio inarrivabile, invidia che Valery fomentò, geloso del senso che Odradek seppe dare al concetto di pelle, senso che il francese poté solo sfiorare nelle sue opere. Valery scrisse, in polemica con il macedone: «Il mostro della filosofia si cela nella città di Skopje. Non sa pensare se non trucidando innocenti persone, smembrandole per utilizzi immorali e diabolici. La Pelle per lui è un rivestimento organico che può essere steso su suppellettili o utilizzato per scriverci sopra, Ivan Odradek altro non è se non il diavolo».
Le puerili accuse del francese, pubblicate sulle riviste filosofiche di tutta Europa, caddero senza risposta: l’Oscuro aveva cose ben più importanti a cui badare. La stesura dell’ultimo volume, il trentottesimo, intitolato Epidermide, rappresenta la chiusura di un sistema filosofico talmente perfetto e scientifico da lasciar a bocca aperta lo studioso più minuzioso. Odradek scrive, a pagina 1322: «Tutto ciò che in precedenza fu umilmente ponderato, diviene senza senso se non racchiuso nell’involucro di una conclusione gloriosa. Così come una crisalide riveste di significato la trasformazione del bruco in farfalla, così la pelle, l’organo più vasto del corpo umano, membrana sottile eppur indistruttibile, così soffice e coriacea al tempo stesso, tiene assieme le altrimenti disordinate frattaglie d’un fisico umano che ivi trova il compimento e la perfezione. La pelle è condizione essenziale della magia e del pensiero, ne compie la danza divina».
Il ragionamento dell’Oscuro è filosofico e scientifico al tempo stesso. Le fandonie attribuitegli, il cannibalismo, gli omicidi, le torture, le efferatezze di cui si sarebbe fatto artefice per popolare di orrori la propria opera, tutto questo svanisce di fronte alla grandezza del suo innegabile genio. Le dita mozzate che troviamo nel tomo Estremità di certo non sono umane, esse sono evidenti riproduzioni in gesso o in qualche altro materiale che simula perfettamente i pezzi di un uomo squartato. I seni esposti sulla rosea copertina di Mammaria, i testicoli appesi a un filo (molto simile a un’arteria essiccata) a pagina 299 di Semente, il cuore spalmato sul retro di Ventricolo, altro non sono che finzioni.
E gli intellettuali spaventati da tutto questo dovrebbero vergognarsi di tralasciare una tale grandezza per dar credito alle idiozie di un popolo che ben sottostà al giogo della superstizione! Pensate, viene comunemente creduto che tenere in mano uno dei volumi di Odradek sia fatale, in quanto attorno a essi aleggerebbe inesausto e senza pace lo spirito immondo del filosofo. A tutto ciò noi non crediamo, stringiamo anzi ferocemente questi volumi, come fossero un tesoro prezioso. Ci sorprendiamo nell’adorazione di queste pagine, le cui parole sono alternate a rappresentazioni di realistiche frattaglie umane, intestini riprodotti a opera d’arte, reni e lingue simili in tutto e per tutto alla realtà. Tutto questo ha una valenza scientifica irrinunciabile e un fascino gotico d’altri tempi!
Odradek, questo maestro così rinnegato dai suoi discepoli, dovrebbe figurare tra i più illustri e legittimi colleghi: Schopenhauer, Nietzsche, Kant, Hegel. Non dovrebbe essere ostracizzato da una comunità sciocca di pavidi accademici da biblioteca, bensì innalzato a icona della cultura umana! «La pelle rilega il mondo, il corpo e questo libro», scrive Odradek nel paragrafo finale della sua opera, La pelle scoperchiata. «La pelle di uomo, che tanto ti sta a cuore e ti separa dal caos, diventa parte dell’opera, perché solo così essa può divenire perfetta», continua l’Oscuro. Le parole sbiadiscono pian piano, ma il tratto si fa chiaro via via che leggiamo: «Un’opera di filosofia non si completa né si scrive senza la sofferenza e il sangue, amico mio, e il tuo sacrificio diventa necessario». D’un tratto, una strana sensazione pervade la nostra incuriosita lettura. È come se… come se le parole scritte fossero udite dalle nostre incredule orecchie, piuttosto che lette dai nostri stanchi occhi. C’è una voce, una voce melliflua, che continua, sostituendosi prepotentemente alla lettura: «Stringi il volume, esso deve nutrirsi di te».
Il nostro ultimo pensiero, abbracciati a quell’ultimo volume dell’opera di Odradek, va alla perfezione della sua opera, nel momento stesso in cui ne comprendiamo il disegno totale. L’ultima cosa che vediamo, prima che le palpebre vengano sfilacciate da una forza soprannaturale, è la sagoma dell’Oscuro di Skopje stagliarsi a fianco della nostra vecchia scrivania, la penna che cade, il sangue che inizia a colare come un piccolo ruscello scarlatto. I suoi occhi, entrambi incastonati come diamanti nelle loro ciniche orbite, ci osservano mentre la vita abbandona queste carni. È un sorriso quello che ne attraversa le ombre.
L’ultima cosa che udiamo è la voce di Ivan Odradek, sussurro proposto all’anticamera di quel cervello che, lusingato da questo onore, lentamente si spegne: «L’opera deve continuare a vivere, nutrendosi degli incauti avventurieri che osano avvicinarla. Hai ben compreso il tuo destino, ora sei pronto».Il libro cade a terra, la nostra pelle, come una matassa di lana che si dipana veloce, va a cucirsi indissolubile alla copertina antica e rovinata dal tempo, rigenerandola con fresca epidermide umana.
Le nostre stesse parole, in un ultimo sussulto di vita, si stagliano nitide sull’ultima pagina del volume che, immobile sul pavimento, sembra ora come nuovo. Esso aspetterà, durante i prossimi decenni, un nuovo studioso che, incauto, diverrà vittima e nutrimento per quel grande gioco di conoscenza che è l’opera di Ivan Odradek.
Le immagini: illustrazioni di Marco Pasin.
Riccardo Dal Ferro
(LM EXTRA n. 28, 15 maggio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
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