La stampa e la narrativa sono soliti presentare Cuba identificandola con la figura del suo leader o come un paese dove impera il turismo sessuale, di cui usufruisce il turista medio straniero che pernotta nei resort dell’isola, tralasciando di visitarla realmente. Lo scrittore Gordiano Lupi in Almeno il pane, Fidel. Cuba quotidiana nel periodo speciale (Stampa Alternativa, pp. 192, € 10,00) narra il non detto di quello stato, quello che non si vede o non si vuole vedere, le abitudini e le rinunce dei cubani.
I cubani sono comunisti? L’autore del libro smentisce subito questo luogo comune, sostenendo di non aver incontrato persone che si definiscono tali. Coloro che si dichiarano comunisti sono i nostalgici, gente legata alle figure di Che Guevara, Camilo Cienfuegos, e ai giorni della Rivoluzione. Il periodo speciale, iniziato nel 1989 e mai terminato, è stato uno delle cause dell’indebolimento delle convinzioni politiche del popolo. Quali sacrifici ha richiesto Fidel al paese? Denuncia Lupi: «Non si trovano generi alimentari, soprattutto carne, la libreta del razionamento garantiva solo pochi quantitativi di riso, fagioli e latte per i bambini, al massimo qualche uovo. L’embargo statunitense diventava ancora più insopportabile, i medicinali e altri generi di prima necessità erano introvabili. Il periodo speciale segnava l’inizio di un’economia di guerra, con razionamento di combustibili, generi alimentari ed elettricità».
Unico rimedio e unica salvezza per i cubani è il turismo. Continua, infatti, lo scrittore: «La Cuba di oggi è costruita come un immenso villaggio vacanze dove tutti aspirano a farne parte». Per ovviare alla penuria anche di generi di prima necessità la classe media – insegnanti, impiegati non governativi – abbandona le proprie occupazioni alla ricerca di un lavoro nel settore turistico, l’unico a garantire un’esistenza dignitosa, insieme agli impieghi statali, per i quali si ottengono numerosi vantaggi e “agevolazioni”. E, approfittando del “contatto” col turista, pur di arrotondare lo stipendio, cercano di vendergli sigari e rum sottratti alle fabbriche. Altri vivono solamente grazie a questi piccoli espedienti. Chi possiede una macchina, seppur fatiscente, si improvvisa taxista o guida turistica; chi ha una discreta abitazione, la offre al turista che non ama il villaggio vacanze: sono nate così le habitaciones particulares. Infine, chi vive solamente grazie al turista sono gli jineteros, persone senza scrupoli, che, pur di guadagnare, sarebbero in grado di vendere qualsiasi cosa, le donne, il proprio corpo.
Altro business legato al turismo è il matrimonio con stranieri. Per il popolo è una via di fuga dall’isola, per il governo un profitto, in quanto occorre pagare un’alta cifra (circa millecinquecento dollari) per ottenere il passaporto e la carta blanca per uscire dal paese. La filosofia di vita cubana non prevede le pianificazioni di lungo periodo, bensì il vivere alla giornata. Secondo Lupi, ciò è giustificato dal sistema nel quale vivono, che non lascia molte alternative. Le sue considerazioni a tal proposito sono amare, non lasciano trapelare note di speranza: «[…] davanti a sé due alternative: suicidio o depressione. Quale futuro può garantire a un figlio un genitore che vede professori e medici scappare a fare gli inservienti per i turisti? […] La soluzione è non pensare, o meglio non pensare troppo e vivere la vita momento per momento, cogliendo le occasioni per divertirsi e stare in allegria».
Perciò le opportunità vanno colte al volo, i problemi risolti quando si presentano. Con le autorità basta pagare una propina (“mancia”) e scompaiono capi d’accusa. Se un cittadino viene scoperto in possesso di merce destinata al mercato nero, questa finirà in casa dell’agente. Una jinetera colta nell’atto di prostituirsi dovrà concedersi al poliziotto per evitare che si apra un dossier a suo carico: la fedina penale sporca comprometterebbe una possibile uscita dal paese. Aggiunge l’autore di Almeno il pane, Fidel: «La libertà di parola non esiste. […] Non esistono diritti politici, né libere elezioni pluripartitiche, non c’è libertà di stampa e di dissenso». E sembra non esserci neppure libertà di scelta…
L’immagine: la copertina del libro di Gordiano Lupi.
Viviana Viviani
(LucidaMente, anno VI, n. 62, febbraio 2011)
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