Le Consulte italiane per la laicità delle istituzioni e la natura “bipartisan” delle loro richieste
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All’interno delle dieci Consulte per la laicità delle istituzioni esistenti in Italia coesistono e collaborano, per la libertà religiosa e i diritti civili, associazioni che si richiamano sia alla tradizione culturale dell’ateismo e della non credenza (dall’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti all’Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno) sia ai filoni intellettuali di confessioni minoritarie o del dissenso cattolico. Anche la fondazione no-profit ReligionsFree Bancale, editrice di NonCredo e di NonCredoLibri, assertrice della non credenza e quantomeno dell’agnosticismo, si sente parte viva di questo coacervo etico-politico-culturale.
Nella Consulta torinese per la laicità delle istituzioni, la più grande fra quelle nazionali e la più antica in Italia, su oltre 75 gruppi aderenti, 10 si rifanno a matrici di pensiero religiose. Questo fatto costituisce la caratteristica essenziale delle Consulte nel panorama dell’associazionismo laico italiano, con la sua capacità di far coesistere e portare a sintesi politica unitaria le tante diversità e sfaccettature del mondo non credente. Nella Consulta torinese troviamo, infatti, unioni culturali diestrazione evangelico-protestante come quella valdese (il Centro evangelico di cultura Arturo Pascal), battista (il Centro evangelico di cultura Ludovico e Paolo Paschetto), avventista (Aidlr – Associazione internazionale difesa libertà religiosa), del mondo evangelico in genere (Associazione 31 Ottobre – per una scuola laica e pluralista promossa dagli evangelici italiani) e dell’ecumenismo cristiano con presenza cristiana (Ywca – Unione cristiana delle giovani). Vi sono anche associazioni cattoliche del dissenso o delle comunità cristiane di base (Viottoli di Pinerolo e Fede viva di Alpignano), ebraiche (il Gruppo di studi ebraici), buddiste (Stella del mattino – comunità buddista zen) e islamico-liberali (Associazione Iran libero e democratico).
Tutte queste associazioni, così diverse fra loro per riferimenti religiosi o antireligiosi/areligiosi, sono accomunate, tuttavia, sia nei principi ispiratori sia nelle battaglie politico-culturali quotidiane, oltre che da una comune concezione della laicità delle istituzioni, dal credere o non credere individuale o comunitario. Infattinelle Consulte intendiamo lo Stato laico come il contrario dello Stato etico e di quello confessionale, i quali assumono come propria una determinata morale (religiosa o filosofica) e ne privilegiano i fedeli rispetto ai seguaci di altre, i quali vengono per questo discriminati. Lo Stato laico di diritto, nel produrre le proprie leggi, deve preoccuparsi non di prescrivere comportamenti dettati da condotte di parte (come pretende quotidianamente la Chiesa cattolica), bensì di aprire nuovi spazi di libertà e opportunità di scelta per i singoli cittadini, portatori di etiche differenti, in virtù del principio dell’autodeterminazione e dell’autonomia individuale. Lo Stato non deve neppure puntare a realizzare un ethos pubblico condiviso (magari deciso dallo Stato stesso!) ma deve ambire alla capacità di far coesistere pacificamente differenti ethos, persino capaci di portare divisioni.
Per tutte le nostre associazioni, la laicità delle istituzioni si fonda su tre pilastri fondamentali: la separazione giuridica fra lo Stato e tutte le fedi; la più ampia eguale libertà per tutti, cittadini e confessioni religiose; la rigorosa neutralità degli enti statali. Alla luce di ciò, non deve stupire che gruppi così diversi per ispirazione ideale si ritrovino alleati nelle concrete battaglie di laicità, come quella sostenuta, tutti insieme, contro la presenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici. Se lo Stato laico, a prescindere da questioni di fede, deve essere la casa comune dove tutti i cittadini si sentono uguali per diritti e doveri, con la certezza di essere trattati senza discriminazioni di sorta, allora le pareti degli edifici statali (scuole, tribunali, seggi elettorali, ospedali, carceri, caserme, uffici), così come i docenti della scuola pubblica, non possono “indossare” un simbolo religioso specifico, nemmeno della confessione maggioritaria, discriminando le opinioni di chi crede diversamente o di chi non crede. Per tutti i laici, con o senza fede, quei muri devono rimanere bianchi, consentendo a ciascuno di immaginarvi i segni della pacifica convivenza fra dissimili ed eguali.
Si tratta di concetti apparentemente semplici, che riguardano i fondamenti dello Stato di diritto, dello Stato costituzionale e dello Stato liberaldemocratico: in una parola, dello Stato laico. Un’idea, quella di laicità delle istituzioni, che soltanto nel nostro Paese, in tutto l’Occidente, a causa di una Chiesa cattolica ormai ridotta a puro centro di malaffare, finalizzato al potere politico ed economico e per colpa di un sistema servile nei confronti del clero, continua a rimanere una chimera.
Tullio Monti – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 96, dicembre 2013)
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La laicità dello Stato italiano non è una chimera “per colpa di un sistema servile nei confronti del clero”. La realtà è ben più drammatica: lo Stato italiano è uno Stato confessionale cattolico, esso è una appendice dello Stato pontificio (sé dicente Santa Sede), non è uno Stato sovrano.
Conseguentemente, l’ordinamento statuale italiano è la base logistica, la fonte finanziaria, anche se non esclusiva, della linea politica volta a realizzare la “mondializzazione della Chiesa” (espressione tratta da: Nota redazionale a Unione Superiori Generali, Verso una comunione pluricentrica, in Il Regno, 9/2001, p. 290), vale a dire, ad attuare la soggezione dell’umanità ai Pontefici in quanto (autonominatisi) “vicari di Dio sulla Terra”. Come ebbe ad esprimersi Giovanni Paolo II, “All’Italia, in conformità della sua storia [?], è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale [i.e., la cultura cattolica] innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. Di questo preciso compito dovrà avere chiara consapevolezza la società italiana nell’attuale momento storico” (Lettera ai Vescovi italiani, § 4, in Supplemento a L’Osservatore Romano n. 9, 13 gennaio 1994, p. 7 sq.).
Il Papa è il “duce” del popolo italiano.
Come rilevato da Piero Calamandrei, quella italiana è una “repubblica monarchica”, una “repubblica pontificia”: “Si ha così il singolarissimo fenomeno di una repubblica democratica i cui governanti sono, spiritualmente ma non per questo meno rigorosamente, alle dipendenze di una monarchia assoluta […]. La frase “repubblica monarchica” che fu inventata per facezia epigrammatica, diventa in realtà l’unica definizione giuridica adeguata a qualificare questo curioso ibridismo costituzionale […]. Anche questo ordinamento in cui viviamo oggi rischia, come accadde a quello che durò un ventennio, di diventare un regime a doppio fondo; un regime in cui le vere autorità che governano lo Stato non sono quelle che figurano sui seggi ufficiali, ma quelle, potenti ed invisibili, che dall’esterno ne tirano i fili” (Repubblica pontificia, in “Il Ponte”, VI, 6 giugno 1950, p. 420 sq.).
Ciò accade per dettato costituzionale secondo quanto disposto dall’art. 7. Senza introdurre i lettori all’ermeneusi di questa norma, sia sufficiente richiamare quanto dichiarato dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in occasione della stipula del Nuovo Accordo del 1984 sostitutivo dei Patti Lateranensi: “La Santa Sede ritiene che con gli accordi, i quali sono oggi sottoscritti, Le viene assicurato adeguatamente quanto Le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della Diocesi di Roma e della Chiesa Cattolica in Italia e nel Mondo” (in Enchiridion CEI, III, nn. 1621-1622).
La confessionalità dello Stato italiano non è una novità introdotta dalla vigente Costituzione, ma risale ai Patti Lateranensi (1929) per il cui tramite, il Capo del Governo Benito Mussolini – senza averne i poteri e contraddicendo, ugualmente senza averne i poteri, la debellatio dello Stato pontificio realizzata nel 1871 a conclusione della catarsi risorgimentale – disponeva della sovranità dello Stato alienando ad una sé dicente Santa Sede la parte di territorio nazionale necessaria per la ricostituzione dello Stato Pontificio.
La contropartita politica fu la legittimazione cattolica del fascismo (vd. Pius XI, Enc. “Quadragesimo anno”, 1931, §§ 92-96)): ““Stato cattolico”, si dice e si ripete, ma “Stato fascista”; ne prendiamo atto senza speciali difficoltà, anzi volentieri, giacché ciò vuole indubbiamente dire che lo Stato fascista, tanto nell’ordine delle idee e delle dottrine quanto nell’ordine della pratica azione, nulla vuol ammettere che non si accordi con la dottrina e con la pratica cattolica; senza di che Stato cattolico non sarebbe né potrebbe essere” (Pio XI, Lettera al Cardinale Gasparri, in A.A.S., 1929, p. 303).