Poliziotti, carabinieri, militari, inviati nelle zone a rischio… ma con poche tutele
Il 23 febbraio 2020, durante una riunione del comitato operativo nella sede del Dipartimento della Protezione civile, il Consiglio dei ministri approva il decreto-legge n. 6 per introdurre misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza da Covid-19. La gente comune comincia a rendersi conto che Cina e Wuhan non sono poi così lontani, che la globalizzazione non è solo Amazon, viaggi facili, e-commerce: è anche malattia.
Iniziamo a conoscere Codogno (e si ha l’impressione che negli ultimi tempi vi abbiano soggiornato più persone che a New York), iniziamo a leggere bollettini, iniziamo a informarci, iniziamo a vedere i disinfettanti come bene primario e prezioso, iniziamo la corsa agli approvvigionamenti alimentari (non si sa mai), iniziamo, insomma ad avere paura: panico e psicosi collettiva diventano i nostri compagni di un viaggio che non vogliamo intraprendere. Gli organi di informazione ci dicono che l’emergenza verrà contenuta con ogni mezzo e che essa verrà trattata alla stregua di una calamità naturale. E così sarà: zone rosse istituite, scuole chiuse, fiere rimandate in varie regioni. Il giorno 24 febbraio, come in ogni calamità che si rispetti, si inviano nel Lodigiano uomini e mezzi. Arrivano 500 uomini appartenenti alle forze dell’ordine. Non vogliamo chiamarli poliziotti, carabinieri, militari, perché, per noi, sono uomini, uomini con una storia, con una vita e non sono solo la matricola numero tot.
Questi uomini hanno senso del dovere, sono uomini che conoscono i rischi, gli oneri e gli onori del proprio lavoro. Agli operatori impegnati nelle zone critiche si promette che saranno loro garantiti alti livelli di sicurezza. Invece, da una nostra fonte apprendiamo che il materiale in dotazione per questi uomini è stato il seguente: due mascherine chirurgiche (che proteggono dal contagio chi ha contatto con chi le porta), tre guanti in lattice, un gel a base alcoolica (tipo Amuchina), un camice monouso, una mascherina con filtro Ffp3 (unica efficace, ma entro il limite di utilizzo di due o tre ore).
Però la mascherina con filtro, pena sanzione disciplinare in caso di errore, può essere usata solo se la persona con cui si interagisce è affetta da Covid-19, ma tale patologia dovrebbe essere valutata su due piedi dall’agente. Questi uomini lavorano con una mascherina inutile e continueranno a farlo per altri giorni ancora, fino a che non verrà dato loro il cambio da uomini diversi che lavoreranno nelle stesse condizioni di (in)sicurezza. Al ritorno da questa missione, non ci saranno parate, nemmeno tamponi (sono pochi) o quarantene: gli uomini rientreranno in varie città d’Italia, Bologna compresa. L’unico mezzo di difesa contro il contagio e l’unica certezza di non aver contratto la malattia è data dall’esame obiettivo di un medico, che più volte al giorno, pone la domanda “Come ti senti?”. Questi uomini torneranno alla loro vita, consapevoli di essere partiti con l’idea dii avere dei diritti e di averli persi strada facendo. La sicurezza sul lavoro deve essere garantita, garantita anche ai dipendenti del Ministero dell’Interno.
Questi uomini non sono immuni da patologie. Forse, potrebbero sembrare supereroi, ma sono uomini prima che agenti delle forze dell’ordine e le loro operazioni devono essere svolte in sicurezza. Questi uomini torneranno a lavorare in varie città italiane, senza che noi e loro sapremo se hanno o meno contratto il coronavirus di Wuhan. Questi uomini torneranno dalle loro famiglie, dai loro amici, al supermercato, senza che nessuno sappia nulla sulle loro condizioni di salute. L’abnegazione e i rischi corsi dal personale sanitario sono noti, è giusto che venga tutelata la loro sicurezza; ma quelli delle forze dell’ordine possono tranquillamente ammalarsi? I vari proclami, le ordinanze di chiusura, il coordinamento sono necessari o sono solo un modo per fare propaganda, per mietere consensi sulla paura?
Se davvero bisogna contenere i contatti per evitare contagio, questi uomini che, in virtù della divisa, hanno avuto contatto più degli altri con le popolazioni colpite non possono infettare amici, colleghi, vicini? Oggi il Resto del Carlino (Nicoletta Tempera, Sei poliziotti in quarantena dopo la trasferta) ha pubblicato la notizia di sei poliziotti del Reparto prevenzione crimine, divisione regionale di stanza alla caserma Smiraglia di Bologna che, di ritorno dalla zona rossa e da Lodi, ora sono (fortunatamente) in quarantena. L’unico problema è che tale misura non era stata prevista e che essa è stata attuata dopo che i sei hanno avuto contatti con colleghi, amici… Forse dovremmo pensare ancora e forse dovremmo riflettere anche su chi rischia la pelle per fare il proprio dovere. Nel frattempo, la speculazione dei paesi stranieri sta uccidendo l’economia italiana con efficacia ed efficienza maggiore della Covid-19.
Le immagini: poliziotti al lavoro (www.sostenitori.info); l’articolo di Nicoletta Tempera su il Resto del Carlino.
Carmela Carnevale
(Lucidamente, anno XV, n. 171, marzo 2020 – supplemento LM EXTRA n. 36, Speciale Coronavirus)