Con il suo nuovo album, uscito da poche settimane e prodotto da Mandibola Records, il rapper siciliano racconta al contempo la profondità dell’individuo e la superficialità della società in cui vive
L’arte e la costruzione di qualcosa di proprio sono valvole di sfogo per chi affronta situazioni di disagio e abbandono. Lo sa bene Christian Paterniti, in arte Picciotto, che per anni ha operato nei quartieri popolari di Palermo incoraggiando giovani scrittori a farsi strada con le loro rime. Il rapper siciliano propone quindi una visione terapeutica della musica, utile sia per chi la ascolta sia per chi la crea: essa rappresenta per l’artista una liberazione dai suoi fantasmi e per il fruitore un’occasione per essere capito e non sentirsi solo.
Con il suo ultimo lavoro, teRAPia (Mandibola Records), Picciotto offre una vera e propria medicina a tutti i mali, dalla nostalgia all’insoddisfazione, passando per il razzismo e l’ignoranza. L’album, disponibile dallo scorso 15 marzo, è il frutto di interessanti collaborazioni: da Roy Paci a Enzo Savastano, passando per ’O Zulù, Davide Shorty, Shakalab, Gheesa, Simona Boo e GenteStranaPosse. Registrate, mixate e masterizzate da Naiupoche (Luca Rinaudo) e Bonnot (Walter Bonanno), le sonorità del disco variano come i suoi contenuti: su una base rap si intrecciano rock, pop e trap. Un vivacissimo calderone di emozioni e pensieri, perfettamente rispecchiati da ritmi ora ballabili (Capitale), ora malinconici e cupi (Sogno vs Incubo), in cui anche la voce di Picciotto si trasforma, spaziando dal cantato al rap hardcore.
Nelle 13 tracce si cerca un antidoto al malessere individuale ma anche a quello collettivo, denunciando tutto il marcio della società odierna, dalla mafia alla violenza delle forze dell’ordine (Lividi), dalla crisi economica a quella valoriale provocata dai social network (Hashtag la vittoria).
Il viaggio comincia dalla mente e dalla sua Illusione che la spensieratezza e la serenità dell’infanzia si mantengano anche in età adulta. Speranza, questa, destinata a essere smentita dal sopraggiungere delle responsabilità e dell’urgenza di sistemarsi e dalla paura di invecchiare senza vedersi realizzati (Da grande. Rap neomelodico). Si passa poi a esaminare il deterioramento delle relazioni umane, distrutte da ipocrisia (Come stai) e diffidenza verso tutto ciò che è diverso. Picciotto si sofferma su questo tema, trattando di immigrazione e accoglienza sul beat afro-orientale di Come non ho fatto mai, canzone che parla di sogni, della ricerca di un futuro e di condivisione. Si continua con un confronto fra la realtà interiore del singolo e quella del mondo che lo circonda in Colloquio, il cui testo affianca l’anima e i suoi sentimenti a situazioni concrete come la guerra in Siria e la povertà delle case popolari.
Per finire, Picciotto rivela la soluzione: creare. Nell’ultima traccia, Terapia popolare, si racconta infatti un processo di produzione “dal basso”, fuori dal mercato mainstream, confezionato per piacere e per vendere. Un fare musica che nasce dalla necessità di sfogarsi e sputare fuori i propri tormenti, più che dal desiderio di arricchirsi. Un fare musica che può aiutare anche gli altri a scavare in se stessi e ad aprire gli occhi sull’attualità. Insomma: un fare musica come teRAPia.
Le immagini: una foto di Christian Paterniti (Picciotto) e la copertina del disco teRAPia .
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIV, n. 161, maggio 2019)