Partendo dal monito di Calamandrei, ecco i guasti che apporterà la Riforma Giannini, assieme alle classificazioni “psichiatriche” delle difficoltà di apprendimento
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera pervenutaci da parte di una professoressa lombarda.
La scuola pubblica corre sempre il rischio di essere sfasciata: un monito lanciato da Piero Calamandrei nel 1950, in un suo discorso, oggi più attuale che mai. Il Ddl (decreto di legge) sulla “buona scuola” è l’ultimo colpo di grazia a un’istruzione pubblica che da anni viene smantellata.
Nel suo intervento Calamandrei, uno dei padri più nobili della Costituzione, aveva messo in guardia sui pericoli che correva la scuola di Stato. Non solo aveva previsto la possibilità che qualcuno potesse impadronirsene, aveva anche spiegato come: «Ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni». Aggiorniamo: definire “disturbi” le lacune e gli errori nell’apprendimento, adottare misure dispensative e compensative chiamandole istruzione. Introdurre categorie psichiatriche che fanno diventare comportamenti da sempre avuti dai nostri alunni (vedi i vari consigli di classe straordinari per provvedimenti disciplinari, tenuti ogni anno), indicatori di disturbi quali Adhd (deficit d’attenzione e iperattività), disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta ecc. Definire borderline codice F83 alunni con un QI (quoziente d’intelligenza) compreso tra 70 e 85 punti. Non sono forse metodi subdoli e sottili per mandare la scuola in malora?
La legge 170/2010 sui Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento), e in particolare la direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 sui Bes (bisogni educativi speciali), sono arrivate nelle scuole con tanto di definizioni, descrizioni e riferimenti ai corrispettivi codici del manuale diagnostico Icd-10 (la classificazione internazionale delle malattie dalla quale sono stati estrapolati), da sembrare bollettini psichiatrici indirizzati ai centri d’igiene mentale piuttosto che legge e direttiva firmata da un Ministro della pubblica Istruzione (Miur) e indirizzate a dei docenti.
Per assicurarsi che tutto ciò venga attivato nelle nostre scuole, qualche mese fa è stato firmato un accordo tra il Miur e l’Ordine degli psicologi per introdurre sin dal prossimo anno uno psicologo in ogni scuola con lo specifico compito di far applicare la legge 170/2010. Forse si ritiene insufficiente la presenza dei “Gruppi di lavoro per l’inclusività” in ogni scuola e dei “Centri territoriali di supporto”, già esistenti e previsti dalla circolare ministeriale n. 8 del 2013 (Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica)? La scuola, come ha scritto Calamandrei, è «organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema della democrazia: la formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica […] ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti».
Con tutti i suoi difetti la scuola pubblica italiana finora ha assolto tale compito: noi ne siamo il prodotto e il risultato. Il lavoro svolto dai nostri docenti ha fatto di noi quello che siamo. Non sono sicura che questo continuerà a essere fatto. Gli insegnanti, stretti dal ricatto del posto di lavoro, non sono liberi; e gli schiavi non creano cittadini consapevoli e liberi. Non è un caso che uno degli articoli cardine della Costituzione, l’articolo 33, al comma 1 reciti: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento».
P.M. (lettera firmata)
(LucidaMente, anno X, n. 114, giugno 2015)