Il neocapitalismo globalista è riuscito a distruggere anche le relazioni eterosessuali. Per rimediare al disastro la giornalista Laura De Luca ha scritto il pamphlet “Manifesto per la liberazione dell’uomo”, edito da “il Giornale”… Con ironia, ma non troppo
Come hanno denunciato, tra gli altri, anche Diego Fusaro ed Éric Zemmour, il neocapitalismo liberista e globalista ha distrutto la famiglia, ma anche l’amore e la sessualità uomo-donna. L’ha fatto per i suoi fini, sfruttando l’onda postsessantottina e l’imbecillità del progressismo politically correct. Una trappola perfetta per mercificare tutto e pervenire all’impero dell’indifferenziato, nel quale ogni realtà è riconducibile alla logica del plusvalore del mercato capitalista e del denaro.
Esasperati e quindi infelici e depressi gli uomini. Frustrate e quindi aggressive e nevrotiche le donne. Perché vivono e si comportano non secondo la propria volontà e natura, ma secondo una subdola e occulta imposizione dei costumi. A livello inconscio soffrono, mentre a livello superficiale devono accettare ruoli e modelli del tutto artificiali. Che fare? Laura De Luca, giornalista, autrice radiofonica, nonché caporedattrice per la cultura presso Radio Vaticana, ha scritto un Manifesto per la liberazione dell’uomo (Scritto da una donna), breve pamphlet pubblicato da Società Europea di Edizioni – il Giornale (collana fuori dal coro, pp. 64, € 3,50). Un libretto ironico (e anche autoironico), contenente, tra l’altro, pure un’Intervista impossibile ad Adamo, primo e ultimo uomo. A essere “liberati” da una cultura che sta distruggendo tutto, a partire dalla natura (vedi L’era delle scelte), dovrebbero essere sia gli uomini sia le donne. Entrambi i sessi vanno affrancati ed emancipati dalla stupidità, dal conformismo, che, ovviamente, aleggia in tutti/e e, sarebbe il caso di dirlo, anche nelle cosiddette comunità lgbt(qi).
Scrive la De Luca: «La stupidità femminile diventa irresistibile, feroce, ottusa e pericolosa quando le donne decidono di aggregarsi e presumono di potere pensare […] in branco per sconfiggere la discriminazione nei loro confronti. Quando è invece provato che nessun branco pensa, di nessuna specie animale e di nessun sesso». Il bersaglio dell’autrice non è certo il femminismo storico, che dalle suffragette fino ai primi anni Sessanta ha essenzialmente apportato dei benefici a tutta la società occidentale, liberando appunto anche l’uomo da certi faticosi schemi patriarcali. L’obiettivo è il neofemminismo delle quote rosa, del Me Too, della retorica del femminicidio, degli uteri in affitto; un’ideologia radical chic (non a caso ne sono portabandiera attrici hollywoodiane e star dello spettacolo) aggressiva, isterica, vittimista (leggi anche Il caro femminismo, iattura per tutte/i?).
Non esiste alcun conflitto d’interesse, quindi nessun reale contrasto tra uomini e donne. Così come non esiste alcuna conflittualità tra bianchi/neri, etero/gay, anziani/giovani, ecc. Il vero scontro è tra alto/basso, privilegiati dell’élite dominante versus sfruttate/i, precarizzate/i, disoccupate/i, per di più convinte/i di vivere nel migliore dei mondi possibili e indotti/e a consumare spazzatura non solo di oggetti, ma anche di idee. Questa è la vera lotta di classe del XXI secolo. Chiarisce la De Luca: «Le donne oggetto – il più delle volte – sono consenzienti […]. Vi sono altrettanti infiniti casi di uomini o bambini schiavizzati, […] mercificati o considerati oggetto. Da uomini e anche da donne. E allora perché portare avanti battaglie differenziali?». Il capitalismo è furbo: ha fatto passare per conquiste (o legittime concessioni) ciò che, invece, era funzionale alla sua logica di mercato: «Ma qual è la più grande furbizia di un furbo? Ottenere da qualcuno un favore facendogli credere di averglielo concesso». Il paradiso promesso si trasforma in un inferno. “Grazie” all’“emancipazione” o, meglio, all’integrazione nella globalizzazione a trazione finanziaria, la vita media delle donne diminuisce, aumentano le nevrosi da competitività sul lavoro, l’uso di alcool e droghe, gli infarti: «Donne maschilizzate e nevrotizzate, frustrate dalla confusa coscienza di essere cadute in trappola e che ne incolpano ancora e sempre gli uomini». Così la sessualità della donna “liberata” oscilla tra sfrenatezza e sessuofobia. La ricaduta di tale “liberazione sociale” finisce nel disastro dei figli, nella solitudine degli anziani, nella disgregazione delle famiglie in generale.
E gli uomini?: «Umiliati, esasperati, che rasentano l’impotenza o il disgusto per il sesso opposto, oppure mammoni non ravvedibili, o ancora frustrati». Nel suo Manifesto per la liberazione dell’uomo la De Luca elenca 58 punti. Eccone qualcuno. L’uomo deve «essere liberato dalla violenza sessista delle donne»; «essere libero di smascherare la trappola del capitalismo che ha alimentato in molte donne un post-femminismo truffaldino e ottuso»; «essere liberato dal senso di colpa astratto e generalizzato di avere praticato personalmente oppressioni o soprusi sulle donne; se così è avvenuto nelle generazioni o nei secoli passati, le colpe dei padri non possono ricadere sui figli»; «essere liberato dal vittimismo femminile, camuffato da rivendicazione politica che finisce per amplificare il contro-mito della debolezza della donna»; «essere liberato dalle tiritere sul femminicidio. […] La questione non è la violenza sulle donne, ma la violenza di chiunque contro chiunque».
Il neocapitalismo ha «teso una colossale trappola a donne e uomini […]: l’omologazione, la negazione della differenza, è utile a chi vuole governare il mondo. […] L’invocata fine di ogni discriminazione nasconde la volontà perversa di omologare tutte le varianti». La peggiore violenza contro le donne è il non riconoscimento della propria differenza, delle proprie peculiarità, della propria dignità, senza una continua contesa su una superiorità/inferiorità tra i sessi che non esiste, dato che parliamo di esseri diversi, entrambi potenzialmente meravigliosi o rivoltanti, eccelsi o meno in campi diversi, quindi, facendo la somma, di valore uguale: «La peggiore offesa agli esseri umani di qualsiasi sesso è la grettezza di guardarli come oggetti, strumenti di scopi economici, mercantili, carrieristici, autocelebrativi, narcisistici, egoistici ecc., senza volerli riconoscere come individui unici, irripetibili, comunque eversivi». In una società consumista dove nulla è sacro e tutto è merce, la donna ha perso la propria sacralità, della sua figura, così come del suo corpo e della maternità, con l’estremo scandalo dell’utero in affitto. Il vero nemico delle donne non è il maschio, gli uomini, un “patriarcato” che, almeno in Occidente, non esiste più: è la stupidità ideologica, l’ottuso attivismo a senso unico, la cieca militanza in schiere urlanti vuoti slogan, il fanatismo, l’estremismo, l’intolleranza. Il tutto funzionale al versante culturale “sinistro” e radical chic del neocapitalismo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XV, n. 173, maggio 2020)