Nel suo voluminoso “L’immagine sinistra della globalizzazione” (Zambon) Paolo Borgognone ricostruisce la storia ideologico-politico-elettorale della nostra Repubblica e in particolare la parabola del Pci, offrendo un quadro complessivo della sua progressiva sottomissione al neocapitalismo global, agli eurocrati e alle nuove elite “politically correct”
Quando ci si trova tra le mani un volumone di oltre 1.000 pagine con 3.543 note a piè di pagina, la prima domanda che viene da porsi è se fosse proprio necessaria tanta prolificità e complessità. Aggiungiamovi la tendenza (marxiana?) alla costante ripetizione di molteplici concetti e i periodi troppo lunghi, con tante proposizioni all’interno delle quali si rischia di perdersi nella sintassi.
Tuttavia, queste peculiarità potrebbero anche essere viste come punti di forza: la riaffermazione delle idee-chiave, le ampie letture e ricerche testuali, gli attenti approfondimenti. Ma i pregi maggiori de L’immagine sinistra della globalizzazione. Critica del radicalismo liberale (Zambon, pp. 1.040, € 28,00) di Paolo Borgognone sono pure altri. 1) È un ottimo testo per chi volesse studiare la storia politico-elettorale dell’Italia democratica repubblicana; l’enorme mole dei risultati di tutte le elezioni, con le relative analisi dei flussi e delle dinamiche sociali, le statistiche, le innumerevoli citazioni dai quotidiani dell’epoca con le voci dei protagonisti, rendono il libro di Bergognone davvero un’attendibile ricostruzione, una summa imprescindibile. 2) Traccia la parabola decadente del Pci-Pds-Ds-Pd in modo convincente, collegandola all’osmosi, se non altro ideologica, col Partito radicale (altra storia politica perfettamente analizzata). 3) Partendo anche dagli avvenimenti internazionali (ad esempio, Iraq, ex Jugoslavia, “Primavera araba”), delinea un quadro del mondo globalizzato neoliberista in tutti i suoi vari aspetti (economici, politici, sociali, culturali). Queste sono tre delle ragioni (e ve ne sarebbero molte altre) per le quali ne consigliamo a tutti la lettura. Cosa ci dice il saggista? Cerchiamo di sintetizzarlo brevemente.
Il vecchio capitalismo «aveva nel liberal-nazionalismo (o nazionalismo borgese) imperialista eurocentrico il proprio braccio politico e i partiti di destra (liberale, conservatrice, fascista) anticomunista si configuravano come i suoi apparati di riproduzione politica e ideologica privilegiati». L’attuale capitalismo onnivoro stradomina col liberalismo cosmopolitico, che trova nei partiti di sinistra liberal la propria sponda ideologico-culturale, anche con la cieca esaltazione della cultura aziendalistica, della virtualizzazione internettiana, dello “startuppismo”, dell’eterno nomadismo lavorativo o pseudoculturale (“Generazione Erasmus”). «Il capitalismo speculativo è infatti un capitalismo essenzialmente di desiderio e di consumo, centrato sulla mercificazione e sull’abbattimento di ogni elemento di mediazione» tradizionale, dagli Stati alla Chiesa, dalla famiglia alla scuola, istituzioni che vengono indebolite, quando non derise o del tutto abbattute.
«L’odierno capitalismo è filosoficamente in antitesi alla destra (Nietzsche-Heidegger) almeno quanto è economicamente in opposizione alla sinistra (Hegel-Marx) perché frutto di una rivoluzione consumistica e tecnologica (avvenuta all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo) alla cui radice vi era la sessantottesca cultura politica individualistica della liberalizzazione integrale dei consumi, degli stili di vita, dei desideri e dei costumi borghesi». Il neocapitalismo intende imporre un’unica cultura, un unico pensiero, che, attraverso apparenti libertà come la «dominante sottocultura virtual-digitale del web», il consumismo sessuale, i nuovi media on line (per non dire di droghe e psicofarmaci), de-emancipizza le masse, rese senza cultura, identità, radici, nucleo famigliare, con individui atomizzati esistenzialmente e flessibilizzati sul mercato del lavoro. Si creano così tre nuove classi sociali disomogenee e distanti tra loro: 1) la Global class, «super-ricchi, detentori delle leve del potere economico, finanziario, militare e mediatico su scala mondiale»; 2) la New global middle class, benestante, unificata nel pensiero e in grado di potersi permettere gli stili di vita edonistici cosmopoliti; 3) la Pauper class, o Generazione Y, «teledipendente, facebook-dipendente», manipolata, senza identità: un esercito industriale di riserva, un’enorme forza-lavoro a bassissimo costo, tenuta sempre sotto ricatto dalla crisi perenne.
Il nuovo pensiero unico, appoggiato entusiasticamente quanto acriticamente dalle sinistre, attraverso la «scomposizione consumistica, narcisistica ed edonistica delle identità collettive tradizionali (nazionali, religiose, di genere, di classe, persino famigliari)», ha come obiettivo la «desovranizzazione dei popoli, degli Stati e delle nazioni, da ricondurre sotto la sfera d’influenza del totalitarismo neoliberale made in Usa». Per pervenire a tale risultato, funzionale al dominio assoluto del neocapitalismo finanziario e allo spostamento incontrollato di merci, uomini, idee, pensieri, mode, costumi, consumi, ecco i dogmi stereotipati, indiscutibili e, apparentemente “progressisti”. Vale a dire quattro retoriche, di per sé vuote: 1) la retorica del migrante, 2) quella dei diritti umani, 3) della liberalizzazione dei costumi, in particolare quelli sessuali, 4) la retorica dei gesti simbolici quanto inutili (ad esempio, i girotondi, le Femen, Greta Thunberg, le magliette rosse su Facebook, ecc. ecc.). Come si vede, il tutto è cosmetico, rientra nella categoria del “carino” e finisce lì.
I veri, tragici problemi delle disuguaglianze, delle ingiustizie sociali e delle discriminazioni di classe non compaiono, sommersi da un veleno dolciastro. Ed è assolutamente evidente la «totale incompatibilità tra il perbenismo conformista degli intellettuali» appartenenti al circo mediatico globalista, il loro «utopismo sentimentalista» e «le istanze comunitaristiche e identitarie delle classi popolari spaesate dai processi di globalizzazione». I lavoratori (i proletari, come un tempo si definivano) e il ceto medio impoverito ormai costituiscono un’unica classe sociale depauperata costretta a pagare le “magnifiche sorti e progressive” della globalizzazione e, per di più, disprezzata dalle elite dominanti: infatti, i nuovi poveri, come quelli di sempre, si orientano in prevalenza «al nazional-populismo (peronismo), al tradizionalismo, al socialismo solidaristico “istintivo” e al patriottismo ancestrale».
Centinaia di cambiamenti di valori e di costume imposti alla nostra società, elencati da Alain de Benoist nell’articolo Il regno di Narciso [ad esempio: il primato dell’economia sulla politica, il primato del consumo sulla produzione, l’ossessione della protezione del bambino (e la sopravvalutazione della parola del bambino), la messa sulla piazza pubblica della vita privata e le confessioni intime della “tele-realtà”, la moda dell’“umanitario” e della carità massmediale, l’accento posto costantemente sui problemi della sessualità, della procreazione e della salute, l’ossessione dell’apparire, del voler piacere e della cura di sé (ma anche l’assimilazione della seduzione maschile alla manipolazione e alla “molestia”), la femminilizzazione di talune professioni (scuola, magistratura, psicologi, operatori sociali), l’importanza dei mestieri della comunicazione e dei servizi, la sacralizzazione del matrimonio d’amore (un ossimoro), la moda dell’ideologia vittimistica, la moltiplicazione delle “cellule di sostegno psicologico”, lo sviluppo del mercato dell’emotività e della compassione, la moda dell’ecologia e delle “medicine dolci”, la deificazione della “coppia” e dei “problemi di coppia”, senza dimenticare il telefono portatile come sostituto del cordone ombelicale] sono la prova di una netta femminilizzazione dell’Europa e dell’Occidente (vedi La crisi dell’universo maschile secondo Éric Zemmour). Ebbene, pure tali mutamenti sono funzionali all’edificazione del nuovo ordine mondiale; anche la figura del Padre-Legge è ridicolizzato: «L’uomo femminilizzato, il “liberale postmoderno”, è assolutamente incapace di esprimere un senso di autorità e una volontà propria e cerca costantemente un padrone identificato come “di successo” cui affidarsi devotamente». Tale “maschio” è «totalmente deprivato di coscienza nazionale identitaria, di classe e finanche di genere».
Il Pd e i contigui cespugli di sinistra sono divenuti «i rappresentanti del versante culturale, libertario e cosmopolita, della globalizzazione americanocentrica» in un mondo postmoderno caratterizzato dalla «dittatura dell’economia globalizzata sulla politica». La sinistra ha così «reciso ogni residuo legame con le classi popolari», promuovendo «una specie di egemonia culturale dei ceti medi semicolti (alta borghesia intellettuale, professionisti del settore pubblico, manager privati, clero universitario politicamente corretto, ceto medio urbano “riflessivo”, knowledge class studentesca, ecc.), attraverso la diffusione di un discorso pubblico fondato sull’apologia […] del capitalismo di libero mercato globalizzato, della democrazia liberale, del cosmopolitismo, dell’ “interventismo democratico” in politica estera […] della “modernizzazione” in ambito tecnologico». E neppure è possibile protestare contro tali posizioni dogmatiche in quanto «nei Paesi a regime capitalistico liberale, la “libertà d’espressione” è la “libertà” di aderire al complesso di riferimenti culturali dell’Ideologia Unica Politicamente Corretta dominante». Si tratta di critiche analoghe a quelle operate da Federico Rampini nei suoi ultimi libri, da noi puntualmente recensiti (vedi Globalizzazione, immigrazione, crisi della democrazia: i grandi mali e Il sonno della sinistra genera mostruosità… economiche, sociali e culturali).
Poiché il vero nemico di questa sinistra ormai liberal-liberista non può più essere il capitalismo, occorre inventarsi il fascista di turno: Fanfani, Craxi (guarda caso, molto critico verso la cancellazione del ruolo delle nazioni, verso l’Unione europea che si andava formando, verso la finanza internazionale, la privatizzazione, la svendita del patrimonio pubblico), Berlusconi, Salvini… Un antifascismo in assenza di fascismo e fascisti, così come il Cavaliere blaterava di anticomunismo senza che vi fossero più in giro comunisti. Si viene così a creare, da parte della sinistra, un insieme di “miti”, come quello del partigiano, dell’operaio sindacalizzato, del pacifista, che costituiscono i “buoni”, quelli sempre dalla pare della ragione. Tutti gli “altri” sono i cattivi, eternamente dalla parte del torto, ignoranti, quasi subumani. Così, come ha ben approfondito tale atteggiamento d’odio Marcello Veneziani in Panorama del 7 agosto scorso (Putin, Dugin e quel nemico ritrovato), la normale dialettica amico/nemico (e sarebbe meglio dire avversario) si trasforma in un’eterna resa dei conti tra Bene e Male. E, come è ovvio, col Male non si dialoga, va sterminato. Si tratta di ciò che è alla base della tragedia delle guerre mondiali del XX secolo e del fanatismo jihadista.
Dunque, il populismo e il sovranismo emergenti in tutta Europa (ma anche negli Usa con il caso-Trump) non sono un’“insorgenza fascista”, antioperaia e antipopolare, «ma una risposta, emozionale e identitaria, delle fasce sociali piccolo-borghesi, popolari, periferiche e medio-basse come livelli d’istruzione più in generale, ostili alle velleità “integrazioniste” della società civile europeista postmoderna». I relativi partiti populisti e sovranisti intercettano «il bisogno di sicurezza (sociale), di solidità (familiare, relazionale) e di appartenenza (nazionale, comunitaria) degli esclusi dai “vantaggi” e dalle “opportunità” individuali della globalizzazione cosmopolita» da ricostituire attraverso il ripristino delle sovranità nazionali, militari, monetarie, culturali…
Entro quale solco di pensiero politico s’innesta il libro di Borgognone e le sue opere (alcune copertine delle quali illustrano la nostra recensione)? Come il torinese Diego Fusaro, Borgognone (non a caso anche lui piemontese, essendo nato a Canale, in provincia di Cuneo), ha come punto di riferimento un grande pensatore marxista emarginato: Costanzo Preve (Valenza [Alessandria], 14 aprile 1943 – Torino, 23 novembre 2013), col suo comunismo comunitario (o socialismo conservatore/tradizionalista, saremmo tentati a definirlo noi). A questi si può aggiungere almeno il pugliese Domenico Lo Surdo (cui la nostra rivista ha dedicato un ricordo). Si tratta, in tutti i casi, di intellettuali che ritengono superate ai nostri tempi le tradizionali categorie destra/sinistra, tanto che frequenti e prolifici sono i loro contatti con i settori più lucidi e colti della Nuova destra o della Destra sociale, soprattutto transalpina. Non a caso, Fusaro scrive anche per Il Primato Nazionale. Ma, ancor prima, vivissimi erano stati i dialoghi, le affinità “elettive”, le collaborazioni – diciamo di più, il rispetto e l’affetto umani – che hanno legato reciprocamente Preve al grande pensatore transalpino già citato Alain de Benoist e all’editore del periodico telematico Italicum Luigi Tedeschi (vedi qui). Per esempio, si vedano un’intervista al filosofo di Valenza da parte dello stesso Fusaro sui rapporti con de Benoist o la dedica di quest’ultimo a Preve del suo Populismo. La fine della destra e della sinistra (opera che speriamo a breve di recensire).
Un’area intellettuale forse minoritaria, ma che sembra l’unica ad aver ben colto gli sviluppi contemporanei del capitalismo e quindi dell’incubo globalizzazione, tanto che i liberal provano terrore «nei confronti di ogni ipotesi di alternativa politica centrata sull’alleanza tra una destra sociale (e nazional-patriottica) e una sinistra identitaria e anticapitalistica». E, forse, la caduta in Italia dell’esperimento governo Movimento 5 stelle (populismo socialista) e Lega (sovranismo nazionale), un’alleanza del tenore che delinea Borgognone, è stata voluta da certi poteri, che, comunque, di certo hanno gioito per il fallimento dell’esecutivo gialloverde quanto per l’edificazione del nuovo governo giallorosso, col Pd allineato al verbo globalista, europeista e politically correct.
Nel 2011, infatti, la sinistra “riformista” ha sostenuto il colpo di stato finanziario sovranazionale che ha estromesso Silvio Berlusconi, accettando provvedimenti “lacrime e sangue” che hanno massacrato in modo perenne i nostri «pensionati, lavoratori, dipendenti, autonomi del settore della piccola e media imprenditoria e piccoli proprietari». In pratica, ha smantellato il primato della sovranità popolare ed economica (entrambi dettati dalla Costituzione) «in cambio dell’armistizio sul fronte dello spread». In ugual maniera, oggi il recente accordo di governo M5s-Pd sembra essere una resa e un allineamento ai poteri finanziari e sovranazionali. Ma continua la nobile resistenza in difesa delle classi sociali sempre più impoverite e dei princìpi e dei valori della nostra identità europea e italiana (cultura, religione, storia, società, costumi, arte, lingua, letteratura). Ottimo, pertanto, pure Borgognone, nel cercare di illuminare le menti ottenebrate degli uomini del nostro tempo, che si dirigono verso la distruzione come agnelli al macello.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 166, ottobre 2019)