Il 23 dicembre 1961 un rimorchio precipita da un viadotto nel sottostante torrente Fiumarella, presso Catanzaro: 71 morti, quasi tutti studenti, il giorno prima delle vacanze natalizie. «Dopo di allora, non abbiamo più cantato». Il rischio dell’oblio
Ricordi lontanissimi. In bianco e nero. Eppure vividi. Un dramma vissuto come in un sogno. Una famigliola negli anni Sessanta. Un papà, una mamma, due bambini. Su un treno che sta attraversando un ponte. Procede lento, lento, lento. Quasi a passo d’uomo. Perché? Sotto il ponte, su uno spiazzo che appare loro lontano lontano, i bambini scorgono un vagone adagiato. Sembra un vagone di un trenino giocattolo, uscito chissà quando dai binari, dal ponte, e finito giù. Pare tutto irreale, come un gioco.
Uno di due bambini ero io, l’altro mio fratello. Il vagone precipitato era ancora rimasto lì, dopo una tragedia di immani proporzioni.
In attesa del Natale – 23 dicembre 1961. Gli studenti calabresi del Catanzarese, come ogni mattina, si alzano prestissimo per prendere il treno che dai loro paesini dell’interno – partenza alle 6,43 da Soveria Mannelli (Sila piccola), poi Decollatura, Serrastretta, San Pietro Apostolo, Cicala e Gimigliano, con termine al capolinea Catanzaro Centro – li farà arrivare, procedendo verso sud-est, alle scuole del capoluogo di provincia. Quel mattino stanno già pregustando le prossime vacanze natalizie. È l’ultimo giorno di scuola, poi il via a presepi, preghiere a Gesù bambino, regali, giochi, dolci, scorpacciate, tutte a base delle tradizionali pietanze calabresi.
Il convoglio della morte – Il treno è composto dall’automotrice Breda M2 123 e dal rimorchio Breda RA 1006. Al suo interno viaggiano 99 passeggeri (molti dei quali, appunto, studenti). Un’ora dopo la partenza dalla stazione di Soveria Mannelli, il convoglio transita sopra il viadotto del torrente Fiumarella, in curva. Sono le 7,45, proprio lassù il rimorchio esce dal binario e, dopo aver rotto l’asta di trazione (un gancio di tipo tranviario), precipita nel torrente, 40 metri più giù. Il disastro è terribile. Segue il caos delle sirene, i corpi straziati, il sopraggiungere dei parenti…
La tragedia – Settantuno viaggiatori muoiono subito, gli altri rimangono gravemente feriti. Trentuno risiedevano a Decollatura, la comunità più colpita. I sogni di un futuro migliore grazie allo studio scolastico, di una vita ancora tutta da scoprire, svaniscono per tanti, insieme alle speranze delle loro famiglie. Si tratta del più grave incidente ferroviario per numero di vittime avvenuto in Italia. In effetti, un altro massacro era avvenuto qualche decennio prima, un po’ più a nord, ma sempre nel profondo Sud.
Morte per monossido nella galleria – Infatti a Balvano (Potenza), il 3 marzo 1944, si era verificata la sciagura del treno 8017, con un numero maggiore di morti, mai realmente calcolato (600?). Ma quella tragedia non fu dovuta a incidenti o deragliamenti meccanici, come quella del torrente Fiumarella, bensì all’avvelenamento da monossido di carbonio dei passeggeri entro la galleria delle Armi, a causa dello slittamento delle ruote delle locomotive a vapore, con conseguente arresto del convoglio e letali fumi che avvolsero i passeggeri.
Le cause – Tornando al viadotto della Fiumarella, la causa meccanica diretta fu, come detto, la rottura del gancio di trazione di tipo tranviario. In realtà, le condizioni della rete ferroviaria in questione erano molto precarie. Si trattava di una linea che era stata studiata per carichi di 8-9 tonnellate delle locomotive, ma, con l’avvento di nuovi mezzi più pesanti e veloci, tutta la rete si era via via degradata, risultando pericolosa in più punti.
Il processo – Sebbene, dunque, la linea ferroviaria non versasse in ottime condizioni, nel processo per stabilire le responsabilità della tragedia fu imputato sostanzialmente il conducente del treno, Ciro Miceli, che, disperato, ammise onestamente le proprie colpe. Il convoglio viaggiava a 60-65 km orari, invece che ai previsti 30 con cui andava affrontata la curva. Inoltre, pare che nella cabina di comando vi fossero più persone del dovuto e che la frenata improvvisa, provocata dall’allarme di uno dei presenti, peggiorasse le cose, agevolando la rottura del gancio e la conseguente caduta del rimorchio nel precipizio. Il macchinista fu quindi condannato a una decina di anni di carcere per omicidio colposo. Le vittime furono interamente risarcite in fase istruttoria, per cui non si costituirono nel processo penale.
Le reazioni politiche – Dopo varie polemiche e un acceso dibattito parlamentare, il Governo si avvalse della facoltà riconosciutagli dalla Concessione per il riscatto delle ferrovie concesse. Così, con la legge n. 1855 del 23 dicembre 1963, venne approvato il riscatto, si revocò la concessione alla Mediterranea Calabro Lucane e si posero le nuove Ferrovie Calabro Lucane sotto la gestione commissariale governativa. Il traffico ferroviario rimase interrotto per alcuni anni e sostituito tra Soveria Mannelli e Catanzaro da autoservizio. Quindi, con decreto ministeriale n. 1044 del 20 maggio 1969, redatto secondo gli indirizzi della legge n. 369 del 18 marzo 1969, furono stanziati 16 miliardi di lire al fine di porre la rete delle nuove ferrovie nelle condizioni di soddisfare in modo sicuro e conveniente le esigenze del traffico locale.
La memoria, oggi – Vari monumenti in ricordo delle vittime del disastro ferroviario sono stati innalzati nel territorio dei comuni più colpiti. Altri si progettano. Eppure, come ci ha detto un residente in quei luoghi, pure lui bambino all’epoca dei fatti: «Moltissimi familiari ancora oggi si rifiutano di parlare di quella strage, quasi come se non fosse passato, ormai, mezzo secolo. Superstiti e testimoni “non se la sentono” di fornire la propria disponibilità a parlare, neanche per realizzare filmati o iniziative di commemorazione».
«Dopo di allora non abbiamo più cantato» – È bene precisare che non si tratta di omertà (perché mai, poi?), ma di pudore. E, soprattutto, dolore: «Più di trenta morti, quasi tutti giovani o giovanissimi – continua il nostro testimone – è un peso troppo grande per una piccola comunità. Lo è ancora oggi. Ancora oggi, a 50 anni di distanza, il dolore di questa piccola comunità è molto forte, fino al punto che è difficile ottenere delle testimonianze che consentirebbero di ricostruire quella vicenda, farla conoscere e far conoscere il vissuto del paese anche per capire come quella strage lo ha colpito, lo ha cambiato… A questo proposito mi ha scosso molto una frase di un mio amico, che mi raccontava di come da ragazzo andava con suo padre a lavorare nei campi e di come questo lavoro fosse ritmato dai canti: “Ma dopo di allora, non abbiamo più cantato!”».
Considerazioni finali – In effetti, forse calabresi (e italiani, in genere) sono un popolo troppo buono. Sopportano prepotenti – politici corrotti e cialtroni, mafiosi – da secoli. Malviventi che succhiano la loro linfa vitale, le loro speranze. Nessun altro popolo ce l’avrebbe fatta. Tuttavia, la memoria va salvaguardata. Proprio perché dolorosa. E si tratta di strazi provocati da malgoverno, insipienze, incapacità di amministrare la cosa pubblica. Ma occorre ricordare. Affinché il dolore non si perpetui senza trovare voce, sbocco, dignità. Altrimenti dovremmo pensare ai cinici “criteri di notiziabilità”, per cui centomila morti in Bangladesh fanno meno notizia di dieci vittime a New York. Se si parla di maremoto, tutti gli italiani ricordano lo tsunami del 26 dicembre 2004 nel Sud-Est asiatico, ma non l’altrettanto grave maremoto – 120.000 morti in un’area ben più ristretta – del 28 dicembre 1908 di Reggio e Messina (ma quante disgrazie avvenute attorno a Natale!). Quanto sono “notiziabili” 71 calabresi morti cinquant’anni fa?
Si ringraziano per le notizie e i commenti forniti Mario De Grazia, Claudio Marasco, Fulvio Mazza e Mario Scarcello.
Per immagini e documentazione della tragedia: http://www.fiumarella.it/default.htm.
Per la commemorazione dell’evento: Il Treno della Memoria sul Fiumarella.
In questo stesso numero di LucidaMente si parla ancora di treni del Sud, oggi, con disagi quasi immutabili, con l’articolo di Fabrizio Bensai Sicilia, l’isola che (per Trenitalia) non c’è.
Le immagini, a partire dall’alto: due rare foto della tragedia, recuperate e rese più fruibili per il lettore; un’automotrice Breda; due monumenti alle vittime, a Casenove e a Cerrisi; il viadotto della Fiumarella, oggi.
Rino Tripodi
(LM MAGAZINE n. 21, 15 dicembre 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 72, dicembre 2011)
muoiono per di più i lavoratori e i poveri e vengono elencati come numeri.E’ una vergogna non bisogna dimenticare! Altro che enciclopedia ne verrebbe fuori tra soldati,pompieri,operai,studenti,muratori. Bisognerebbe fare una pubblicazione con foto e documenti a cura dello Stato!
Abitavo allora a Liardi, una piccola frazione del comune di Decollatura,quando, sulla strada nazionale, cominciai a notare un traffico eccezionale di auto, dirette verso Catanzaro, incuriosita prestai maggiore attenzione e cominciai a sentire urla di donne stipate in quelle macchine, non riuscivo a capire le ragioni di quell’evento ed immaginai che si fosse verificato un incidente nelle vicinanze, poi la radio e la tremenda notizia e mentre i miei due figlioli rispettivamente di due anni ed un anno, giocavano allegramente ai piedi dell’albero di Natale,io piangevo disperata.Poi la notizia ufficiale, il numero dei morti, i loro nomi: molti degli studenti erano ragazzi carissimi, alcuni erano stati da me preparati privatamente per gli esami di ammissione alle scuole medie, altri erano figli di amici.Poi quelle bare, tutte quelle bare, quei pianti disperati, una tragedia immane, che ha colpito per sempre il nostro cuore.A cinquanta anni di distanza posso solo pregare per quei ragazzi, ricordarli e piangere ancora una volta.
di quanta memoria ha bisogno la nostra Calabria….noi e le future generazioni; grazie conoscevo la vicenda ma non in dettaglio.