Il ricordo di Tienanmen che tanto disturba il Partito comunista e la necessità di maggiore trasparenza nelle relazioni pubbliche e diplomatiche con Italia e Vaticano
Era il 15 aprile 1989 e, da quella data fino al 4 giugno dello stesso anno, si verificarono a Pechino, in piazza Tienanmen, una serie di manifestazioni popolari contro la repressione del governo cinese alle quali parteciparono studenti, operai, intellettuali; il tutto prese nome di “protesta di piazza Tienanmen”.
L’esito fu funesto a causa dell’alto numero di morti e in Cina parlare di ciò che accadde quel 4 giugno è ancora oggi tabù. Il Rivoltoso Sconosciuto è un anonimo uomo cinese divenuto famoso in quanto, il giorno seguente la protesta, si posizionò disarmato davanti a dei carri armati impedendone l’avanzata. Quello che dovrebbe essere uno splendido gesto civile, come l’onorare attraverso il ricordo le vittime di una strage, diventa invece per il regime cinese ragione di oppressione e di persecuzione. A testimoniarcelo sono gli attivisti Dalù e Nathan Law, per i quali vige un mandato di arresto e un licenziamento in tronco voluti dal Partito comunista cinese (Pcc). La protesta poi sfociata nel massacro in piazza Tienanmen accomuna quindi la volontà degli attivisti di opporsi a un modus operandi disumano e alla scelta politica di censurare qualsiasi fonte contraria e critica nei confronti del governo cinese.
La vicenda di Dalù, popolare conduttore radiofonico cinese oggi rifugiatosi in Italia, che nel 1995 commemorò in diretta la strage a Shanghai e venne di conseguenza epurato, è stata rilanciata dal Corriere della Sera, mentre quella di Law, politico, ex leader studentesco e attivista cinese, sulla sezione esteri de la Repubblica. Ricordare ciò che accadde nel corso di quel 4 giugno rappresentò per Dalù la fine della sua carriera. A denunciare la pericolosità del regime c’è anche l’attivista di Hong Kong Law che, nella mattinata del 25 agosto 2020, ha parlato ai giornalisti fuori dal Ministero degli Esteri italiano, mentre il ministro Luigi Di Maio riceveva il politico e diplomatico cinese Wang Yi nella sua prima tappa tesa a rafforzare le relazioni diplomatiche con i Paesi dell’Unione europea.
Nathan Law denuncia la pericolosità del regime in tema di violazioni dei diritti umani in Cina e si oppone all’operato del governo italiano che discute su accordi commerciali con le sue istituzioni principali. Dietro di lui, a supportarlo nel corso del suo intervento rivolto alla stampa, l’ex ambasciatore e ministro degli Esteri (Governo Monti) Giulio Terzi di Sant’Agata, il deputato Federico Mollicone (Fratelli d’Italia) e il senatore Lucio Malan (Forza Italia). Gli attivisti ed esuli politici sono molto preoccupati dell’avanzata espansionistica cinese (vedi Cina, scacco matto in cinque mosse) e di come l’Italia e il Vaticano siano così superficialmente accondiscendenti. Dalù, che ha ottenuto lo status di rifugiato nel nostro Paese e si è convertito al cattolicesimo nel 2010, oggi risiede nelle Marche e si è opposto pubblicamente al rinnovo dell’accordo sino-vaticano attraverso un articolo comparso su AsiaNews.it. I motivi sono abbastanza plausibili, chiedendosi egli come possa uno Stato che rappresenta i valori cristiani scendere a patti con un regime su questioni che hanno inevitabilmente impatti e risvolti sociopolitici di tutt’altro aspetto (vedi anche La Cina e la pandemia: le responsabilità da non dimenticare e le strategie politico-economiche imperialiste).
In sintesi, l’ex speaker critica fortemente il regime e teme che l’accordo possa essere strumentalizzato per l’eliminazione del Vangelo e l’annientamento di ogni residua libertà all’interno del colosso asiatico capitalcomunista. Paura condivisa dal cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, che ha criticato la politica vaticana e resta convinto che, con l’accordo Cina-Santa Sede, quest’ultima abbia perso tutto e ottenuto niente. La trattativa in questione sta mettendo in serio pericolo il Vaticano perché – afferma il prelato – non c’è modo di contrattare con la slealtà, l’arroganza e la prepotenza dei comunisti cinesi. Zen, dopo aver scritto e inviato delle lettere ad altri componenti del collegio cardinalizio, aver condannato l’accordo e la posizione di alcuni porporati, è arrivato a Roma lo scorso settembre per incontrare papa Francesco; ma Bergoglio non l’ha ricevuto.
Paolo Marraffa
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 179, novembre 2020)
Grazie Paolo.
Questi sono segnali che testimoniano la pericolosità di un regime che noi per inteeesse, ignoranza o malevolenza, ignoriamo. La cosa peggiore viene da questo mainstream che copre ogni cosa di un velo di colpevole omertà!
Pienamente d’accordo, dobbiamo reagire.