Secondo le stime dell’Osservatorio provinciale sull’immigrazione di Bologna, risalenti alla fine del 2007, la comunità sudamericana a Bologna e nella provincia ammonta a poco più di 4.600 persone, circa il 7% della popolazione straniera di Bologna e provincia. Nemmeno un loro rappresentante fa parte del Consiglio dei cittadini stranieri a Bologna, composto a maggioranza da cittadini marocchini, pakistani e indiani.
Perché lasciare il proprio paese?
Le diverse comunità latinoamericane presenti sul territorio sono approdate a Bologna in diversi periodi storici. Lasciano il proprio paese per motivi economici, pochi per motivi affettivi, alcuni per motivi politico-sociali.
Questo è il caso del Cile e, in parte, del Perù. Infatti, come racconta David Muñoz Gutierrez, 59 anni, impiegato in una cooperativa, l’esodo dal Cile inizia all’indomani del golpe militare di Pinochet, avvenuto l’11 settembre del 1973. Per evitare le torture, il carcere e la morte, molti perseguitati si rifugiano dapprima nelle ambasciate straniere per poi fuggire in Europa. Lo stesso David, allora segretario del Partito socialista della sua provincia, ci mostra la fotocopia di un giornale dell’epoca che recita “Vivo o muerto encargan a un implicado “Z”” (“Vivo o morto ricercano un coinvolto “Z'”).
Il plan Z era un piano inventato dal governo per giustificare il golpe, le sparizioni, le incarcerazioni e le morti che ne seguirono. “L’unica cosa da fare in quel momento era rifugiarsi in un’ambasciata. Quella argentina era già circondata, l’appuntamento a quella finlandese saltò a causa di alcuni compagni. La scelta su quella italiana cadde per caso”. Anche alcuni migranti peruviani, oltre alla motivazione economica, hanno dovuto lasciare il paese a causa delle persecuzioni durante il governo di Fujimori tra il 1990 e il 2000, reo di aver violato diversi diritti umani. Rosa Apollo, 43 anni, da quasi venti anni in Italia, collaboratrice domestica e presidentessa della Comunità peruviana in Emilia-Romagna, non dimentica neppure le stragi compiute da Sendero luminoso, frangia armata del Partito comunista peruviano che, con la scusa di difendere il popolo, colpiva il popolo stesso, facendo esplodere bombe in luoghi affollati o nuocendo a beni pubblici.
In Ecuador, invece, come ci racconta Catalina Pazmino, 44 anni, ecuadoriana, in Italia da cinque anni, è la crisi economica del 1998, pari a quella argentina, a spingere all’emigrazione soprattutto la popolazione femminile delle aree rurali, che è a conoscenza della richiesta italiana di badanti e collaboratrici domestiche. I mariti e i figli migrano dalle campagne alle città, creando “paesi fantasma”. Attualmente questi paesi rimangono abbandonati, sebbene i migranti abbiano fatto costruire con le rimesse case comunque fatiscenti. Per molti ecuadoriani l’unica possibilità di lasciare la patria è quella di affidarsi ai coyotes: essi offrono documenti falsi e la possibilità di viaggiare “facilmente” con costi economici, e non solo, altissimi.
Il primo impatto con l’Italia
L’ambasciata italiana in Cile dell’epoca ha aiutato migliaia di cileni a salvarsi, tuttavia, arrivati a Roma, il governo consigliava loro di andare in un altro paese europeo a causa della situazione economica del momento. Il vero appoggio lo trovano nei partiti politici e nella solidarietà di singoli cittadini. Grazie a loro trovano casa e lavoro.
Al di là del caso cileno, la maggior parte delle comunità sudamericane presenti a Bologna si organizza attraverso l’informalità e il passaparola. Quando un nuovo migrante arriva nel paese si appoggia a un familiare o a un amico e grazie a essi trova lavoro e alloggio. La Comunità peruviana e l’Associazione bolognese italoperuviana (Abip) si incontrano per la messa domenicale in spagnolo in una parrocchia del quartiere bolognese di San Donato, occasione nella quale si condividono tempo e informazioni.
Inoltre, grazie alla mediazione di Rosa Apollo, la comunità peruviana si incontra con il consolato peruviano per risolvere piccoli problemi burocratici, per i quali sarebbe altrimenti costretta a recarsi a Milano, sede più vicina del consolato.
Comunità “nascoste”, poco visibili
La mancanza di un associazionismo sudamericano, o di una vera unità a Bologna e provincia, si fa sentire nella visibilità di queste comunità.
Se vi sono associazioni, come la Comunità peruviana e l’Abip, esse si occupano di risolvere problemi quotidiani e burocratici dei migranti che vivono in città e non hanno legami particolari con i paesi di origine. I rapporti con la propria patria vengono mantenuti dalle singole persone o famiglie, in qualità di rapporti di amicizia e parentela. Si organizzano raccolte fondi da destinare a progetti nei paesi di origine, tuttavia sempre a titolo personale.
La comunità cilena, nonostante alcune divisioni interne di carattere politico, fu molto visibile tra il 1973 e il 1980: mantenne l’unità nella lotta e nella sensibilizzazione contro il regime dittatoriale di Pinochet, denunciando i crimini da lui commessi. Si organizzavano raccolte fondi per i rispettivi partiti in Cile e per i compagni in carcere. I rifugiati politici cileni tornarono poi sulla scena politico-sociale italiana e mondiale quando fermarono Pinochet nel 1998 a Londra, per chiedere che venisse giudicato all’estero per i reati commessi. Inoltre diversi cileni, raggruppatisi in associazioni culturali, appoggiarono le varie cause latinoamericane.
Catalina Pazmino denuncia la mancanza di associazioni ecuadoriane a Bologna. Lei stessa avrebbe voluto costituire un’associazione di donne latinoamericane con l’aiuto di un sindacato, tuttavia ancora i tempi non sono maturi. Il suo obiettivo principale è costituire un luogo di incontro dove scambiarsi idee e strumenti per un migliore tenore di vita, che possa ripercuotersi anche sulle famiglie rimaste in patria.
Nostalgia delle proprie radici o sradicamento?
Rosa dice che la maggior parte dei peruviani sogna di investire i loro guadagni qui in Europa; Catalina afferma che, secondo lei, i migranti hanno il desiderio di ritornare nella propria terra. Oltretutto il governo ecuadoriano, oltre ad aver creato un ministero ad hoc per i migranti, ha pianificato politiche per incentivare il ritorno dei propri migranti, in quanto manca la manodopera.
Parlando delle seconde generazioni degli immigrati, in certi casi, sentendosi escluse socialmente in Italia, alcune hanno deciso di tornare e rimanere in patria, altre, per mantenere un certo tenore di vita, si sono stabilite nel nostro paese, preferendo, per motivi economici, il lavoro allo studio. Nel caso ecuadoriano, le seconde generazioni ancora sono molte piccole, quindi non possiamo parlare di un trend, mentre, entrando nello specifico del caso cileno, nel periodo di transizione alla democrazia, molti decisero di rientrare in patria: tuttavia alcuni tornarono subito in Europa, in quanto non trovarono la situazione socio-politica sperata, né molti amici e parenti, che erano morti o scomparsi; inoltre coloro che erano rimasti volevano solo dimenticare o fingere che la dittatura non fosse mai esistita.
In ogni caso credo che una frase di Catalina possa sintetizzare lo stato d’animo e fisico degli immigrati in paesi stranieri e probabilmente il desiderio sempre presente di tornare al proprio paese: “Se la luna è capace di influenzare i movimenti del mare, quali possono essere i cambiamenti che la latitudine e la longitudine hanno sul nostro corpo?”.
L’immagine: il presidente socialista Salvador Allende, morto nel golpe del 1973 e, sullo sfondo, la bandiera cilena.
Francesca Gavio
(LM MAGAZINE n. 5, 15 ottobre 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 34, ottobre 2008)
Comments 0