Sono trascorsi ormai 27 anni da quando Christopher Johnson McCandless si è spento nel Magic Bus lungo lo Stampede Trail, in Alaska; cogliamo l’occasione per ricordarlo
Stando ai calcoli dell’alpinista e saggista Jon Krakauer, il 18 agosto del 1992 nelle terre selvagge dell’Alaska, a bordo dell’autobus Magic Bus numero 142 lungo il percorso Stampede Trail, moriva il ventiquattrenne statunitense Christopher Johnson McCandless, conosciuto anche come Alexander Supertramp (super vagabondo), nome con cui si era ribattezzato durante il suo viaggio di circa due anni. Ormai la storia del ragazzo che lasciò tutto, senza contattare più la famiglia, per partire e vivere immerso nella natura selvaggia è nota al grande pubblico.
Ciononostante, non si è mai stanchi di rileggere, rivedere e riascoltare il suo itinerario, durante il quale attraversò diversi Stati americani. Lungo la strada conquistò l’affetto di diverse persone e ancora oggi egli continua a suscitare forti emozioni (a volte contrastanti) in chi viene a conoscenza della sua esperienza di vita. A renderla mondialmente nota sono stati, prima, il libro Nelle terre estreme di Krakauer pubblicato nel 1996 e, successivamente, il film Into the wild del 2007 diretto da Sean Penn. Nello stesso anno è uscito il documentario indipendente di Ron Lamothe The call of the wild e, nel 2014, la sorella Carine McCandless ha pubblicato Into the wild truth. Quest’ultimo rappresenta l’esigenza di approfondire e chiarire il contesto di liti e violenza familiare che, fino ad allora, non era mai stato esplicitato in maniera dettagliata né attraverso il reportage giornalistico né per mezzo della pellicola cinematografica.
Nella prefazione all’opera di Carine lo stesso Krakauer dichiara: «Ero fiducioso di poter dare sufficienti indizi indiretti perché il lettore capisse che, in gran parte, il comportamento in apparenza immotivato di Chris […] trovava […] spiegazione nelle volatili dinamiche sviluppatesi all’interno della famiglia McCandless». Purtroppo, alcuni lettori non lo compresero e conclusero che Chris fosse semplicemente un giudice crudele verso chi lo aveva cresciuto. Questi giudizi hanno messo la sorella nelle condizioni di voler «raccontare la storia per intero, senza nascondere più nemmeno uno dei tanti dettagli strazianti» perché «i segreti più tossici non possono più far del male una volta che li si trascina fuori dall’ombra, alla luce del sole».
Per chi lo ignorasse, una questione a lungo taciuta dai coniugi McCandless è che il padre, mentre i due ragazzi erano ancora piccoli, ebbe un figlio dalla ex moglie. Quando Chris lo scoprì, alcuni aspetti del suo carattere si accentuarono e si fece più forte la necessità di ricercare, sempre, la “verità” a discapito di affetto e stabilità economica. Il giovane non era né egocentrico né sprovveduto, ma un brillante animo sensibile e amante dell’avventura. Il libro e il film seguono due linee narrative diverse: Penn è poetico e suggestivo, mentre Krakauer dettagliato e pragmatico, ma si potrebbero dire complementari per capire l’avventura di Alexander Supertramp. Alcuni potrebbero comunque non condividere le sue scelte e sostenere che il suo è stato un rifiuto alla società, però come dargli torto? Quasi sempre ipocrisia e corruzione spadroneggiano. Molto semplicemente, riprendendo il Bartleby lo scrivano di Herman Melville, si ha l’impressione che il nostro vagabondo abbia voluto «preferire di no» a questo sistema malato. Arrivò, però, alla conclusione che, malgrado tutto, i rapporti umani sono ciò che rende possibile la felicità. Il suo cammino fisico e spirituale lo aveva fatto crescere e al contempo rinascere. Nel diario, riportato in Nelle terre estreme, si può infatti leggere: «Sono rinato. Questa è la mia alba. La vita reale è appena cominciata». Peccato che morì per cause tutt’oggi discusse.
Le immagini: la copertina del libro Nelle terre estreme di Jon Krakauer; una foto dell’Alaska; una testimonianza di Christopher McCandless.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XIV, n. 164, agosto 2019)