Come con Galileo Galilei, l’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti del “relativismo” si presenta intollerante e assolutista
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Fu il giornalista Giuseppe Baretti a inventarsi la frase «Eppur si muove», in seguito erroneamente attribuita a Galileo Galilei, dopo averne ricostruito la travagliata vicenda per il pubblico inglese, con modalità anticattolica, in un’antologia, Italian Library, pubblicata a Londra nel 1757. A “muoversi” è ovviamente la Terra e non il Sole, secondo quanto affermava la teoria copernicana, che Galilei aveva cercato di dimostrare attraverso la verifica sperimentale.
Diversi secoli sono passati dal processo a Galilei, ma l’azione repressiva della Chiesa cattolica non è mai venuta meno. Basti ricordare i periodi storici che sono stati caratterizzati dal Concilio di Trento, che si oppose al protestantesimo nascente; dal Concilio Vaticano I, che si oppose al razionalismo; quello del decreto Lamentabili, dell’enciclica Pascendi, che si oppose al modernismo, etichetta diffamatoria creata dalla curia contro alcuni teologi riformisti. Essi vennero colpiti con sanzioni di diverso tipo (indice, scomunica, destituzione). Anche dopo la Seconda guerra mondiale, sotto la nuova etichetta Nouvelle Théologie, venivano destituiti da Pio XII, e in parte anche esiliati, i teologi riformisti, soprattutto della Francia. Altri, come in Germania Karl Rahner, vennero posti sotto censura speciale; ancora, una nuova enciclica, Humani Generis, del 1950, condannava tutti gli “errori del tempo”.
La costituzione dogmatica Dei Filius rappresenta una tappa fondamentale per comprendere le ragioni filosofico-teologiche dell’universalismo e dell’assolutismo di un presupposto teorico proveniente dalla Sede Apostolica. Nel quarto capitolo si legge: «La dottrina di fede che Dio ha rivelato non è stata proposta come una scoperta filosofica per essere perfezionata dalla intelligenza umana, ma è stata affidata alla Sposa di Cristo come un deposito divino per essere fedelmente conservata e infallibilmente dichiarata». Ma possiamo ancora immaginare un unico modello esplicativo della realtà? È ancora possibile rivendicare da parte di un’autorità l’assolutismo e quindi l’infallibilità del proprio punto di vista? Per la scienza, ma più in generale per la cultura contemporanea, la verità non è più inquadrabile semplicemente all’interno di un sistema unico di conoscenze universali ed inalterabili.
È un dato ormai acquisito come le nozioni di verità e di dimostrabilità siano relative, nel senso cioè che non è più possibile parlare di dimostrabilità di una proposizione se non sono menzionate le premesse da cui essa risulta essere dimostrabile. Così come non ha senso dire che una proposizione è vera se non si precisa a proposito di quale campo di oggetti essa risulti vera. Eppure, oggi c’è una forte offensiva da parte della gerarchia cattolica contro quello che è chiamato, spesso in modo improprio, relativismo. Questo viene dipinto come un luogo di perdizione dove si consumano l’arbitrarietà, la soggettività, la perdita di identità e di valori. Occorre invece spiegare che il relativismo si oppone all’universalismo di una teoria e all’assolutismo del potere, ma non all’oggettività e alla verità scientifica. Ancora oggi, purtroppo, ci tocca alzare lo sguardo al cielo e dire: «Eppur si muove».
Francesco Primiceri – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)
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