Intrallazzi, finanziamento pubblico ai partiti, disprezzo di diritti civili, istituzioni e cittadini: il “j’accuse” dello storico Massimo Teodori nel corso di una iniziativa svoltasi a Roma
Lo scorso 21 marzo, a Roma, presso la sala della Biblioteca del Senato di piazza della Minerva, a cura del Partito socialista italiano, si è tenuto un convegno, per mettere sotto accusa il “ventennio nero” della cosiddetta “Seconda Repubblica”. L’evento ha assunto tutte le sembianze di un Processo alla Seconda Repubblica mai nata, con tanto di pubblico ministero, presidente del Tribunale, avvocato difensore, testimone informato dei fatti e giuria.
Dopo un intervento del segretario del Psi, Riccardo Nencini, vi è stata una prolusione di Marco Damilano, scrittore e giornalista de l’Espresso, e autore di Eutanasia di un potere. Storia politica d’Italia da Tangentopoli alla Seconda Repubblica. Il ruolo di presidente del Tribunale è stato assunto da Pio Marconi, ex membro del Consiglio superiore della magistratura. I pubblici ministeri sono stati: per la questione “partiti” Bruno Tabacci, capogruppo Api e assessore al Bilancio del Comune di Milano; per le “Istituzioni” Massimo Teodori, politico e scrittore; per la “Giustizia” Tiziana Parenti, avvocato ed ex magistrato; e per le problematiche economiche Oscar Giannino, giornalista, scrittore ed esperto di economia. Presente anche un avvocato difensore d’ufficio, Marina Meucci, e un testimone informato dei fatti, Ferdinando Adornato, deputato Udc. La giuria era composta da: Mauro Del Bue, della segreteria nazionale del Psi; Giampiero Marrazzo, direttore dell’Avantionline!; Paolo Franchi, giornalista del Corriere della Sera; Ettore Maria Colombo, giornalista de Il Riformista e de Il Messaggero, Luca Mariani, giornalista Agi.
I capi d’accusa sono stati, tra gli altri: l’esplosione del debito pubblico, la mancata crescita economica, il deficit di democrazia, il basso livello della classe politica e le mancate riforme istituzionali.
Di seguito riportiamo l’intervento di Massimo Teodori, in qualità di “pubblico ministero” per il tema “Istituzioni”.
Il mio compito è facile – facilissimo. Fare il pubblico ministero sulle istituzioni è come sparare sulla Croce rossa. Se la “Seconda Repubblica” mai nata è un fallimento, per le istituzioni si tratta di un fallimento al quadrato.
In Italia la malattia delle istituzioni è antica. Senza risalire alla nascita della Costituzione, fin dagli ultimi anni Settanta del Novecento alcuni spiriti lungimiranti – Bettino Craxi e Giuliano Amato – ritennero opportuna e necessaria una “grande riforma”.
Ma, da allora, i nodi da riformare sono rimasti gli stessi: un governo con scarsi poteri; un parlamento con scarsi poteri; una separazione dei poteri con troppo poca separazione; un sistema di controlli e garanzie molto debole; uno Stato accentrato e burocratico troppo pesante; una Pubblica amministrazione sgangherata; una moltiplicazione delle autorità locali con l’abnorme lievitazione della spesa pubblica; uno strapotere dei partiti.
Durante la cosiddetta Prima Repubblica furono messi in essere diversi tentativi di riforma istituzionale e costituzionale, ma in dieci anni nulla è mai arrivato in porto. Vediamo ora cosa è successo con la cosiddetta “Seconda Repubblica”, nelle cinque legislature che si sono susseguite dal 1994.
Il disastro è stato totale.
Accuso l’intera cosiddetta “Seconda Repubblica” con gran parte del parlamento di non aver fatto alcunché di ciò che doveva e poteva fare sulle riforme istituzionali.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi che hanno governato per due legislature piene, colpevoli di essere stati istituzionalmente ignoranti, politicamente incapaci e immeritevoli di essere considerati classe dirigente. Avevano larghe maggioranze: avrebbero potuto fare ciò che volevano, ma senza un’idea in testa e senza alcuna responsabilità politica hanno dilapidato la forza data loro dagli elettori senza riuscire a combinare se non disastri.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi, colpevoli di aver propalato aria fritta ingannando i cittadini che avevano riposto in loro una speranza di modernizzazione istituzionale.
Accuso Bossi e i leghisti, colpevoli di avere ridotto una nobile idea sulla forma dello Stato, qual è il federalismo, a ridicola formuletta.
Accuso i Democratici, colpevoli di non avere saputo perseguire alcuna idea di rinnovamento istituzionale, baloccandosi con formulette intercambiabili in funzione conservatrice di un sistema parlamentare sempre più sgangherato.
Accuso la gran parte dei parlamentari, colpevoli di avere preso in giro gli elettori così come continuano a fare in questa stagione facendo credere che avrebbero fatto prodigiose riforme elettorali mentre stavano raccontando frottole nella consapevolezza che nulla si sarebbe mosso.
Accuso il Parlamento in gran parte dei suoi settori, colpevole di prendere in giro gli elettori con la buffonata del dimezzamento dei parlamentari che condurrebbe a un criterio di rappresentanza opposto a quello in vigore nei grandi paesi democratici, Inghilterra, Francia e Germania, con circa un eletto ogni cento mila elettori.
Accuso Berlusconi e berlusconidi di avere toccato l’apice del ridicolo inserendo il nome del “presidente” del consiglio sulla scheda elettorale, segno non solo di ignoranza, ma del massimo dispregio delle istituzioni.
Accuso tutti gli altri partiti, a cominciare da quello Democratico, di avere accettato la buffonata del nome del premier sulla scheda e gli stessi presidenti della Repubblica di avere permesso una tale gaglioffaggine costituzionale.
Accuso i berlusconidi, i leghisti e gli altri partner delle maggioranze dell’epoca, colpevoli di avere approvato la più ignobile riforma elettorale espropriatrice dei diritti dei cittadini – il porcellum – e di tentare ancora oggi, per mezzo di sotterfugi, di mantenerla in atto.
Accuso i Democratici, colpevoli di avere ipocritamente fatto finta di avversare il porcellum mentre approvavano la possibilità di nominare i parlamentari secondo la regola del centralismo democratico portato alla paranoia, come del resto è stato sperimentato in precedenza con il modello elettorale della regione Toscana.
Accuso gli apparati centrali di tutti partiti, colpevoli di avere dato un colpo mortale al gioco democratico e ai diritti degli iscritti e sostenitori rimpinguandosi col nostro denaro, utilizzato per costituire i tesoretti e, ancor più grave, per inquinare irrimediabilmente la democrazia interna.
Accuso in particolare il teorico del finanziamento pubblico, il tesoriere storico del Pci-Pds Ugo Sposetti, colpevole di avere assunto la regia della statizzazione dei partiti attraverso la costante ricerca dell’aumento del finanziamento pubblico volto al rafforzamento delle oligarchie partitiche centrali come il caso Lusi – certamente il minore – insegna.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi, colpevoli di avere ingannato i cittadini e in particolare quelli con spirito garantista facendo credere che avevano a cuore la riforma della giustizia mentre avevano in animo solo la difesa dei loro affari. È stata così persa ogni possibilità di riforme di tipo europeo e garantista, volte a migliorare il funzionamento della giustizia nell’interesse di milioni di cittadini.
Accuso i Democratici di avere sempre ciurlato nel manico sulla giustizia barcamenandosi di volta in volta tra un giustizialismo alla Marco Travaglio a rimorchio dei peggiori pubblici ministeri e un abile trasformismo tipo il new look di Luciano Violante.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi di aver svenduto la dignità della politica approvando le leggi integraliste cosiddette “etiche”, in realtà sui diritti civili, prostrandosi ai maneggioni della Conferenza episcopale italiana, al rimorchio di clerico-talebani presenti in tutti gli schieramenti politici.
Accuso il partito Democratico di avere candidato ed eletto nelle proprie fila Paola Binetti, infiltrata nella sinistra dall’Opus dei e dai vertici ecclesiastici e vaticani.
Accuso tutti quei settori parlamentari, e in particolare l’Udc di Pierferdinando Casini, di volersi fregiare della nobile etichetta “liberal” per nascondere un comportamento in pura linea clerical.
Accuso le altre forze, e in particolare i Democratici, di non avere fatto alcuna serie opposizione politica e civile alle leggi cosiddette “etiche” gradite da quel fior di gentiluomini che sono i Legionari di Cristo.
Accuso la cosiddetta “Seconda Repubblica”, e gran parte dei suoi parlamentari che si sono succeduti a Montecitorio e a Palazzo Madama per quasi un ventennio, colpevoli di avere cianciato di rafforzamento delle istituzioni e di spirito liberale, mentre in realtà hanno dato al paese il più avvilente spettacolo di inettitudine, di disprezzo istituzionale e di tutela degli interessi particolari e personali.
Il risultato di una stagione così buia – la cosiddetta “Seconda Repubblica” – è sotto gli occhi di tutti. Non c’è da meravigliarsi che la fiducia degli italiani nei partiti sia a livelli minimi, sotto qualsiasi ragionevole previsione. Oltre la metà degli italiani non vuole andare a votare, o non sa per chi votare o manifesta altre forme di protesta. E non c’è alcuna meraviglia che la maggioranza e più degli italiani abbia accettato con sollievo un governo extrapolitico e un presidente del consiglio cosiddetto “tecnico”, nonostante abbia messo in atto una politica di lacrime e sangue per tutti i cittadini.
Come pubblico ministero chiedo di condannare a una pena gravissima – il bando perenne dalla vita pubblica – non già la cosiddetta “Seconda Repubblica”, che è un’astrazione, ma la gran parte di coloro che ne sono stati i protagonisti.
PENSIAMOCI
Giudicare il passato aiuta a pensare il futuro.
Massimo Teodori
(LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
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