LA RILETTURA
William Barber nella Storia del pensiero economico (Feltrinelli) ha asserito che «i progressi più significativi del pensiero economico del XX secolo sono legati al nome e all’opera di John Maynard Keynes».
Keynes (1883-1946) è noto principalmente per aver scritto la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936), in cui ha propugnato un tipo di politica economica che, soprattutto nei periodi di crisi e di forte disoccupazione, stimoli la domanda attraverso l’ampliamento della spesa pubblica e gli investimenti produttivi. Non avendo eccessiva fiducia nelle capacità di autoregolamentazione del libero mercato, Keynes ha sostenuto che lo Stato deve controllare l’andamento dell’economia, senza per questo mettere in discussione i fondamenti del sistema capitalistico. L’economista inglese è stato il più illustre sostenitore del New Deal, l’insieme di riforme economico-sociali varate dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, che ha costituito la controprova della giustezza delle sue teorie.
Keynes, però, non è stato solo un eccellente economista. Amico di Bertrand Russell e di David Herbert Lawrence, egli ha manifestato grande interesse anche per l’arte, la filosofia, la scienza e la letteratura, come testimoniano il saggio My Early Beliefs (1938) e l’articolo Bernard Shaw and Isaac Newton, scritto poco prima di morire.
Un mondo libero dal lavoro – Il brano sopra riportato è tratto da un breve opuscolo pubblicato da Keynes nel 1930, che, a sua volta, riproduce una relazione che lo studioso britannico tenne nel 1928 prima agli studenti del Winchester College, poi a quelli dell’Università di Cambridge. Anche se affronta tematiche di carattere economico, Keynes ci appare sotto una veste assolutamente inedita e sorprendente: non più il ferrato e acuto analista di questioni macroeconomiche, ma un insospettabile pensatore “utopico”, per certi versi “postmoderno”. Similmente a quanto sostenuto da Thomas More in Utopia (1515), Paul Lafargue ne Il diritto all’ozio (1887) e Bertrand Russell in Elogio dell’ozio (1935), Keynes, infatti, auspica in futuro la cessazione del sistema di vita basato sulla produttività frenetica e l’accumulazione di denaro fine a se stessa, vagheggiando un mondo ormai libero dalle incombenze del lavoro, nel quale gli individui possano dedicarsi ad «attività utili» per rinfrancare lo spirito (come la cultura e lo sport). Egli mette in relazione questa sorta di “paradiso terrestre” allo sviluppo delle forze produttive e della tecnologia, anche se è pienamente consapevole che solo alcune condizioni storico-politiche particolarmente favorevoli potranno consentire il raggiungimento della «beatitudine economica». Si tratta, però, di presupposti di non poco conto…
Quattro indispensabili condizioni – Affinché l’umanità riduca al minimo i suoi oneri lavorativi e massimizzi il tempo libero a sua disposizione, si devono adempiere quattro indispensabili condizioni: «[…] la capacità di controllare l’aumento della popolazione, la determinazione nell’evitare guerre e tensioni sociali, la disponibilità ad affidare alla scienza il governo di ciò che propriamente le compete, e il tasso di accumulazione fissato nel margine fra produzione e consumo». È necessario, pertanto, che nasca una sorta di governo mondiale, il quale ponga razionalmente dei limiti alla crescita demografica, risolva pacificamente le controversie fra gli stati, lasci spazio alla libertà della ricerca scientifica e contrasti le speculazioni finanziarie. Esattamente l’opposto di quello che è avvenuto da un secolo a questa parte! Il difetto principale dell’analisi di Keynes consiste nel fatto che essa non tiene nella dovuta considerazione – come nota Guido Rossi in Possibilità economiche per i nostri nipoti? – la questione della distribuzione delle risorse, che mai è risultata equa, generando così povertà e sottosviluppo.
Spostare l’economia dal capitale al lavoro – Perché, agli albori della crisi più grave del XX secolo, il maggior economista del mondo si rifugia in vagheggiamenti ottimistici sul futuro? A causa, forse, della residua mentalità positivista che, nonostante lo shock della Grande Guerra, ancora sopravviveva in lui. Tuttavia può anche darsi che la spiegazione sia un’altra: Keynes non sta avanzando una previsione scientifica, ma sta semplicemente formulando un’ipotesi, augurandosi che, tenuto conto delle possibilità insite nello sviluppo tecnologico, l’umanità possa prima o poi pervenire «oltre il tunnel della necessità economica». Ai primordi del Nuovo millennio le riflessioni del Keynes “filosofo” ci sembrano non solo suggestive, ma anche attuali. Un “altro mondo”, infatti, forse è ancora possibile, senza più i condizionamenti del produttivismo sfrenato, delle banche, delle borse e delle speculazioni finanziarie che periodicamente sconvolgono l’economia internazionale. La grave crisi che oggi attanaglia il sistema capitalistico mondiale impone nuove ricette economiche, che dovranno tener conto degli insegnamenti keynesiani, integrandoli con una distribuzione più equa delle risorse e il controllo razionale dello sviluppo globale, diventato nel frattempo “insostenibile”. Occorre un cambiamento di prospettiva che, come sostiene ancora Guido Rossi, permetta di «spostare il centro dell’economia dal capitale al lavoro». Se si vorrà salvare il mondo da un disastro annunciato e garantire il futuro ai nostri nipoti, i governi dovranno pensare ai bisogni della gente anziché ai profitti delle “avide” aziende multinazionali!
L’immagine: foto di John Maynard Keynes.
Giuseppe Licandro
(Lucidamente, anno V, n. 50, febbraio 2010)