Nella “Prefazione” all’ultimo libro (“Storia delle terre e dei luoghi leggendari”, Bompiani) del semiologo piemontese, abbiamo trovato…
Nello scorso numero di LucidaMente, con la recensione In viaggio attraverso paesi favolosi, Marco Cappadonia Mastrolorenzi ha segnalato l’ultimo lavoro di Umberto Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari (Bompiani, pp. 480, € 35,00… non pochi). Verso la fine del proprio contributo, il nostro collaboratore ha riportato un brano della Prefazione dello stesso autore al libro.
Il brano incriminato Ve lo riportiamo: [vi sono] «terre che realmente esistono ancora oggi, anche se talora sotto forma di rovine, ma intorno a cui si è creata una mitologia, come Alamut, su cui aleggia l’ombra leggendaria degli Assassini, come Glastonbury, ormai associata al mito del Graal, o come Rennes-le-Château o Gisors, che sono stati resi leggendari da speculazioni commerciali recentissime. Insomma le terre e i luoghi leggendari sono di vario genere e hanno in comune solo una caratteristica: sia che dipendano da leggende antichissime la cui origine si perde nella notte dei tempi, sia che siano effetto di una invenzione moderna, essi hanno creato dei flussi di credenze. È della realtà di queste finzioni che il libro si occupa».Vi sembra che qualcosa non quadri? Tanto. Ve lo abbiamo evidenziato coi colori. E abbiamo controllato il brano sia on line, in books.google.it, quindi, per eccesso di zelo e di prudenza, sul cartaceo. Il testo è quello.
Ripetizioni e concordanze Saltano agli occhi: una sciatteria stilistica ripetuta; una quadrupla ripetizione lessicale; e – davvero grave – un errore di concordanza grammaticale, 1. Non è mai stilisticamente molto elegante usare il pronome relativo “cui” preceduto da una preposizione. Nel brano in questione abbiamo – ravvicinatissimi – «a cui» e «su cui» (e dopo poche righe «la cui origine»). Almeno uno dei primi due «cui» va sostituito. 2. Tre aggettivi e un sostantivo con la stessa radice-lessema, in pratica coi suoni identici, si rincorrono uno dietro l’altro: «leggendaria»; «leggendari»; «leggendari»; «leggende». Non si potevano trovare dei sinonimi? 3. Il primo «leggendari» dipende dal soggetto «terre». Dunque, è sbagliata la concordanza «terre […] che sono stati resi leggendari»; semmai, «terre […] che sono state rese leggendarie».4. Comunque resta la dipendenza poco piacevole di una proposizione relativa da un’altra relativa, incastrata l’una dentro l’altra con la ripetizione del pronome relativo «che»: «terre che realmente esistono ancora oggi, […] che […]». Si può rimediare trasformando la prima relativa con un participio presente («terre ancora oggi realmente esistenti»).
Riveduto e corretto Ecco come si sarebbe potuto scrivere, più correttamente (e permettendo una più piacevole lettura), il brano in questione:«terre ancora oggi realmente esistenti, anche se talora sotto forma di rovine, ma intorno alle quali si è creata una mitologia, come Alamut, su cui aleggia l’ombra fantomatica degli Assassini, come Glastonbury, ormai associata al mito del Graal, o come Rennes-le-Château o Gisors, che sono state rese affascinanti [o intriganti] da speculazioni commerciali recentissime. Insomma, le terre e i luoghi leggendari sono di vario genere e hanno in comune solo una caratteristica: sia che dipendano da mitologie antichissime, la cui origine si perde nella notte dei tempi, sia che siano effetto di una invenzione moderna, essi hanno creato dei flussi di credenze. È della realtà di queste finzioni che il libro si occupa».
Un problema epocale Non abbiamo operato la lettura del resto di Storia delle terre e dei luoghi leggendari, quindi non possiamo affermare che i “refusi” presenti nel brano in questione abbiano altri “fratelli” nel resto del libro (ma, ad esempio, Glenn Voliva è scritto erroneamente Glen Voliva) o rappresentino una sfortunata eccezione.Dispiace comunque che anche il volume di un autore e studioso apprezzato come Eco cada nella sciatteria e nella sbadataggine ormai tipica dell’editoria dei nostri tempi, tutta presa dallo sfornare con noncuranza – per non dire con vera e propria trascuratezza – migliaia di brutti libri (magari di autori a pagamento)… Tanto ormai i lettori non ci sono, e quei pochi che ci sono, presi dalla superficiale, rapida, effimera comunicazione on line (vedi Analfabetismo high tech), cominciano a dimenticare le regole della lingua italiana e il piacere della vera letteratura (leggi anche: Letteratura in svendita; La sottrazione della bellezza).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 99, marzo 2014)
Rino, devono pagare un po’ di più i ghostwriter e i correttori di bozze, tutto lì.
Caro Gualtiero, non l’ho scritto… ma lo penso…
Non è vero quanto dice il sedicente correttore. La prassi è che “quali” da pronome venga usato per rappresentare persone e “cui” oggetti o animali. Gli altri errori sono abbastanza biasimevoli, ma è nella fretta di vedere e rivedere il testo e di riaggiustarlo e abbellirlo che sfuggono le parole scritte prima e denunciano, qui sì!, una fretta e mancanza di accuratezza. L’editing finale purtroppo non lo fanno più gli editori perché costa troppo farlo leggere a qualcuno da pagare.
Umberto Eco: titolo, e un po’ di marketing. Il resto conta poco per acquisti d’impulso… Camilleri, titolo e via… Fabio Volo, titolo e via…
Che dire? Questo articolo è un balsamo per le mie orecchie.
A proposito: Gisors e non Gisord (quattro occhi meglio di due, otto meglio di quattro, e così via…).
😉
Gentilissima Stefania, grazie.
Un po’, l’età, un po’ la fretta (per l’età), un po’ che nelle case editrici si taglia…
D’accordo sulla sciatteria della editoria di oggi. Posso però sommessamente dire che ho pubblicato due romanzi senza dar soldi all’editrice? E che sono estremamente curati dal punto di vista dell’editing? Credevo non fosse possibile per uno sconosciuto come me, invece è successo.
Gentilissimo dott. Franceschini, grazie per la testimonianza. Se è così, viva Verbavolant…
“Leggendari”. La “ricerca e distruzione” delle ripetizioni è, secondo me, un vezzo solo italiano e a volte, nei testi giornalistici, complica inutilmente il testo.
Classico esempio: la visita del vescovo. il presule… il porporato… l’illustre dignitario… il pastore… ecc.
Nella prosa francese le ripetizioni di termini o l’uso di parole derivate nello stesso periodo è più frequenti e a volte addirittura insistito per enfasi o per chiarezza.
Per il resto, le sciatteria dilaga nell’industria editoriale.