Continuiamo a parlare dell’industria zootecnica grazie al documentario “The Milk System” di Andreas Pichler sui danni anche alla salute dei consumatori
Delle conseguenze che comportano gli allevamenti intensivi ci siamo occupati svariate volte su LucidaMente, focalizzandoci prima sul documentario Cowspiracy in Vegan: scelta eticamente doverosa per salvare la Terra?, in seguito con Possibili correlazioni tra malattie croniche e dieta, prestando attenzione alle conseguenze sulla salute dovute a un eccessivo consumo di derivati animali.
La questione, però, è tutt’altro che esaurita e ce lo ricorda Milena Gabanelli su Dataroom. Qui, oltre a fornirci un’ottima panoramica riassuntiva sull’argomento, la giornalista affronta anche un altro importante aspetto: il problema dell’occupazione nel settore meat. Infatti, se si vuole dimezzare il consumo di carne rossa entro il 2050 (obiettivo di diversi forum), non ci si può esimere dal considerare l’intera filiera («allevamenti, macelli, trasformazione, confezionamento, trasporti, grande distribuzione, produttori di mangimi, veterinari, farmaci») insieme ai numerosi posti d’impiego che essa stessa offre. In Italia, per esempio, gli addetti nel «comparto bovino sono 257.000», a livello globale, invece, «non esiste nemmeno una stima, se non il valore di mercato: 740 miliardi di dollari». Purtroppo, in molti Paesi non vi è un progetto operativo volto a spostare parte dei lavoratori verso altri tipi di produzioni più sostenibili (come quella cerealicola o dei legumi). Ebbene, per discutere di eventuali piani da attuare e direttive da seguire, durante la diretta del 18 febbraio la giornalista del Corriere della Sera ha ospitato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Verso la conclusione di questa intervista, sono state poste alcune domande arrivate direttamente dal pubblico; la più interessante chiedeva quali motivazioni avessero spinto l’associazione a fermare la proiezione del documentario di Andreas Pichler, The Milk System. Questo ci sembrava, perciò, un buon motivo per guardarlo e trattare la “materia latte”, anch’essa parte integrante degli allevamenti bovini. Va precisato che l’inchiesta del regista bolzanino è stata realizzata nel 2017 e che nel 2018 Coldiretti e Assolatte hanno presentato un esposto ad Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), ottenendo la sospensione della distribuzione nelle sale cinematografiche italiane. Per fortuna, la situazione si è sbloccata nella stagione invernale dell’anno scorso, consentendo la diffusione del film prima nei cinema e poi su Netflix.
Entrando nello specifico, l’analisi portata sullo schermo affronta molteplici aspetti del milk business, il quale da solo in Europa valeva (al momento della realizzazione del servizio) 100 miliardi di euro. Vengono così interpellati diversi operatori della filiera: allevatori e contadini, produttori e imprenditori, studiosi e lobbisti, amministratori delegati di grandi industrie casearie e persino membri del Parlamento europeo. Un viaggio che non si esaurisce qui, ma che arriva sino alla Cina e in Senegal. Insomma, il quadro delineato è quello di un sistema che incita costantemente ad aumentare la produzione per espandere la piazza d’affari, tenendo però bassi i costi della risorsa primaria per sbaragliare con prezzi stracciati eventuali concorrenze ed essere sempre competitivi. Il problema è evidente: questa via non è sostenibile né per l’umanità, né per il mercato, tanto meno per l’ambiente.
Per l’essere umano, come sostengono ormai molte ricerche, il nettare bianco assunto in età adulta non è così salutare come si crede. Vi sono «fattori che favoriscono lo sviluppo di cancri» con prove fondate per quello alla prostata e l’ulteriore possibilità che un elevato consumo possa aumentare il rischio di contrarne altri tipi. Per quanto concerne, invece, l’aspetto commerciale, è stato necessario estendersi in altri continenti a causa della saturazione del nostro. I produttori sono ormai allo stremo e facilitano (inconsapevolmente) la crescita delle multinazionali agricole che esportano all’estero le loro forniture, impoverendo così sia gli allevatori europei sia l’economia di altri Paesi in via di sviluppo. Infine, sul fronte ecologista, oltre alle informazioni ormai note, si aggiunge la questione dello smaltimento dei liquami bovini, contenenti azoto. Il terreno, quindi, deve fare i conti con gli alti livelli di quest’ultimo e ciò comporta rischi di ennesime emissioni.
Le informazioni appena citate sono accessibili al grande pubblico e agli attori principali di questo circolo vizioso, ma nonostante tutto la produzione del latte porta guadagni e quindi continua ad aumentare. Sarebbe, forse, opportuno cogliere il suggerimento di Gabanelli e diventare acquirenti consapevoli perché «le rivoluzioni possono partire dal basso […] il consumatore ha molto più potere di quel che pensa» e se la domanda cala, perché si è divenuti clienti coscienti e responsabili, l’industria di conseguenza si adeguerà.
Le immagini: la locandina del docufilm The Milk System di Andreas Pichler.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XV, n. 171, marzo 2020)