Esiste una spiegazione scientifica della coagulazione del sangue del patrono di Napoli? E com’è possibile che un’immagine umana sia rimasta impressa su una stoffa di lino? Lo abbiamo chiesto a Luigi Garlaschelli, membro del Cicap
La tradizione agiografica narra che – nel 305 d. C., durante la persecuzione contro i cristiani scatenata dall’imperatore Diocleziano – Gennaro (vescovo di Benevento) venne decapitato a Pozzuoli, divenendo così beato e martire. Nel 1337, l’arcivescovo di Napoli, Giovanni Orsini, istituì una cerimonia in onore di san Gennaro, ma è solamente il 17 agosto del 1389 – 1084 anni dopo la decapitazione del patrono napoletano – che si ha la prima testimonianza del miracolo legato al suo nome. In quel giorno d’estate si tenne a Napoli una processione, durante la quale il suo sangue, raccolto al momento della morte, fu introdotto in due piccole ampolle di vetro e sistemato in una cappella del duomo partenopeo.
L’altro grande enigma nel campo del paranormale religioso riguarda il telo sindonico, avvolto in seta cremisi e conservato sopra due altari della Cattedrale di San Giovanni Battista di Torino, dietro griglie di ferro e dentro una cassa anch’essa di ferro, custodita in un contenitore di legno. Secondo la tradizione delle reliquie, si tratta del lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo, una volta deposto dalla croce. Su di esso si trova un’immagine in negativo di un uomo barbuto, alto circa 1,72 centimetri, coperto di ferite, crocifisso e ferito al costato. È possibile che questo lenzuolo di lino sia sopravvissuto fino a oggi, resistendo a spostamenti, furti, incendi? (Cfr. Massimo Polidoro, Grandi misteri della storia, Piemme, pp. 237-ss.).
Rammentiamo che venerdì 29 marzo 2013 è andata in onda una puntata speciale di Porta a Porta sulla Sindone. In assoluta assenza di contraddittorio, è intervenuto Giulio Fanti, docente di Misure meccaniche e termiche presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova. A sposare le teorie di Fanti si è aggiunto anche il vaticanista di Famiglia Cristiana, Saverio Gaeta. La tesi di Fanti è che il telo di Torino risale al periodo in cui è morto Cristo. Per parlare del prodigio del sangue di san Gennaro e per ritornare sull’enigma della Sindone, abbiamo incontrato e intervistato Luigi Garlaschelli, uno dei massimi esperti internazionali nel campo del paranormale religioso, noto ricercatore del Dipartimento di Chimica organica dell’Università di Pavia e membro del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale (Cicap).
Benvenuto, professore. Insieme ai membri del Cicap Sergio della Sala e Franco Ramaccini, lei ha riprodotto in laboratorio un composto che si comporta allo stesso modo del presunto sangue di san Gennaro, dimostrando che il fenomeno è facilmente riproducibile. Questo straordinario risultato è stato rivelato in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature (n. 353, 10 ottobre 1991). Può spiegare di cosa è composta questa sostanza e come funziona?
«Si tratta di un colloide di idrossido di ferro, preparabile facilmente con materiali e tecniche disponibili anche alla fine del Trecento (quando la reliquia comparve per la prima volta). È una gelatina che a riposo solidifica, ma, agitandola, si liquefà. Durante il rito i movimenti a cui il reliquiario è sottoposto innescherebbero il passaggio di stato in modo automatico. Naturalmente, non sappiamo se nell’ampollina c’è davvero una sostanza chimica come la nostra, ma la riproduzione che abbiamo effettuato indica che forse esiste una spiegazione scientifica. Tuttavia, mancano analisi serie sulla reliquia di Napoli, quindi si cerca di riprodurre qualcosa non conoscendone nemmeno con esattezza il comportamento».
Veniamo all’enigma della Sindone di Torino, che nel 1988 fu sottoposta alla prova scientifica del carbonio 14 nei laboratori delle università di Oxford, Arizona e Zurigo. Il responso scientifico fu unanime: la reliquia venne costruita nel Basso Medioevo, precisamente tra il 1260 e il 1390. Lei ha eseguito degli esperimenti per riprodurre il fenomeno dell’impressione in negativo dell’immagine, i cui risultati si possono leggere nel suo libro Processo alla Sindone (Avverbi, pp. 120, € 6,20). Ce ne vuole parlare?
«L’ipotesi è che l’artista potrebbe avere usato dell’ocra in polvere, nella quale erano contenute impurità varie. Col tempo, l’ocra si è staccata (ma se ne sono trovate tracce residue), mentre le impurità hanno fatto ingiallire le fibre del lino. Nella mia riproduzione ho coperto una persona con un telo identico a quello della Sindone di Torino. L’ho strofinata con un pigmento che conteneva tracce di un acido (per il volto serve, però, un bassorilievo). Ho scaldato il telo per effettuare un invecchiamento accelerato, poi ho lavato via il pigmento. Il risultato ha secondo me le proprietà dell’immagine della Sindone: l’impronta è indelebile, senza pigmento, dovuta all’ingiallimento delle fibre superficiali dei fili, pseudonegativa, con informazioni in 3D. La riproduzione è in grandezza naturale (4×1 m) con bruciature e macchie di sangue. Anche gli “autenticisti” l’hanno definita come la migliore copia mai eseguita, anche se l’hanno criticata e ridicolizzata appena è stato possibile. Ma questo fa parte del gioco, no? La questione è ovviamente molto complessa. Per altri particolari si veda: È possibile riprodurre la Sindone?, in http://sindone.weebly.com/».
Grazie, professor Garlaschelli!
Per un’altra intervista a Garlaschelli, sulle “lacrimazioni mariane”: Madonna, quante lacrime…
Le immagini: le ampolle del sangue di san Gennaro; una foto di Luigi Garlaschelli; la copertina del libro Processo alla Sindone.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 88, aprile 2013)