Gli studi di genetica cellulare ci dimostrano che si possono riprogrammare le cellule dei centenari e ringiovanirle. Quali saranno i benefici per l’umanità? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata
Nei Paesi “sviluppati” l’età media e la qualità della vita dell’uomo si sono innalzate e sono migliorate notevolmente negli ultimi settanta/ottant’anni. Convenzionalmente, possiamo definire “anziano” chi abbia superato una soglia di 60/65 anni e si può definire “terza età” la fascia che va dai 65 ai 75 anni, mentre “quarta età” quella delle persone che hanno oltre 75 anni. Nell’Unione europea vi sono, attualmente, oltre 70 milioni di sessantenni, il che corrisponde al 20% dell’intera popolazione. Nel 2030 in Italia, secondo un’indagine Eurispes, avremo un over 65 ogni tre cittadini: attualmente, su 8 milioni di ultrasessantacinquenni, si contano quasi 5 milioni di donne, e dei 3,4 milioni di ultrasettantacinquenni, 2,2 milioni sono di sesso femminile (cfr. www.segretariatosociale.rai.it e Rapporto Eurispes 2012 in www.eurispes.it). Un mondo sempre più “vecchio”, insomma, ma che è possibile anche riprogrammare per farlo “ringiovanire”.
Interessanti studi ed esperimenti di genetica cellulare, infatti, ci dimostrano che è possibile riprogrammare e “ringiovanire” cellule di persone molto anziane e farle riprodurre all’infinito, come le staminali dell’embrione precoce (meno di quattordici giorni di vita). Superati, così, i problemi di ordine etico e legislativo, si aprono scenari importanti in campo medico e sociale. Potremmo, in futuro, utilizzare queste cellule ringiovanite per curare gravi patologie, oggi difficili da trattare con farmaci e terapie specifiche? Sarà davvero possibile, in un breve o lontano futuro, agire sui “geni dell’invecchiamento” e rallentare il tempo della senescenza cellulare? Per rispondere a queste domande abbiamo incontrato e intervistato per LucidaMente Giuseppe Novelli, ordinario di Genetica medica presso l’Università di Roma Tor Vergata e direttore Uoc del Laboratorio di genetica del Policlinico omonimo.
Dopo gli importanti studi effettuati da John Gurdon e Shinya Yamanaka, premi Nobel per la medicina nel 2012, il team dell’Institute of Functional Genomics dell’Università di Montpellier, diretto da Jean Marc Lamaitre, ha eseguito con successo degli esperimenti di riprogrammazione per ottenere cellule che possono riprodursi all’infinito, come le staminali dell’embrione precoce. Se gli esperimenti avranno sviluppi ulteriori, quale sarà l’applicazione medica terapeutica? Quali patologie neurodegenerative si potranno curare in futuro e quali altre malattie sarà possibile sottoporre a terapie sempre migliori?La possibilità di ottenere linee staminali embrionali inducibili (Ips) apre enormi prospettive terapeutiche, in quanto permette di avere modelli di malattia in provetta su cui sperimentare nuovi farmaci e capire le basi biologiche della patologia. Tra le malattie che potranno giovarsi di tali studi, possiamo annoverare numerose affezioni rare (distrofia muscolare, atrofia muscolare, fibrosi cistica) e malattie comuni (diabete, morbo di Parkinson, patologie del cuore e del fegato), nonché alcune condizioni tumorali (melanoma, leucemia). L’opportunità di isolare, coltivare, espandere, differenziare e manipolare in vitro cellule riprogrammate umane è una grande risorsa per lo sviluppo della terapia cellulare, che offre il grande potenziale di modificare una condizione patologica mediante il ripristino di una funzionalità ridotta o assente, fino alla completa sostituzione funzionale del tessuto patologico. Da ciò si evince che le possibilità applicative della terapia cellulare, nei vari campi della medicina, sono enormi e riguardano non solo patologie ereditarie o rare (che, se non prontamente trattate, portano rapidamente a morte), ma anche malattie croniche e invalidanti, che – tra l’altro – comportano un costo sociale, economico e sanitario notevolissimo.
Cosa hanno dimostrato i recenti studi sulla riprogrammazione cellulare compiuti dal team di Lamaitre dell’Università di Montpellier e pubblicati nella rivista “Genes & Development” (cfr. www.scienze.fanpage.it)?Il lavoro più importante di Jean Marc Lamaitre è stato quello di dimostrare che è possibile ottenere cellule “ringiovanite” da donatori molto anziani (centenari) e che, quindi, l’età del soggetto donatore non è un fattore limitante. Si possono ottenere, in tal modo, cellule staminali in provetta che possono essere indotte a specializzarsi in tipi cellulari diversi ed essere utilizzate come fonte di cellule “nuove” per terapie cellulari, anche su soggetti anziani.
Oggi, per varie ragioni, viviamo meglio e più a lungo degli uomini vissuti settanta/ottanta anni fa. L’età media e la qualità della vita si sono alzate notevolmente. Stando a quanto affermato da Vincenzo Marigliano, direttore del Dipartimento di Scienze dell’invecchiamento dell’Università La Sapienza di Roma, secondo cui il “Maximum Life Span Potential” (cfr. www.romasette.it) di un uomo sono 120 anni, si potranno, in futuro, riprogrammare alcune cellule per spostare indietro le lancette dell’orologio e avere un’aspettativa di vita migliore?L’uso di queste cellule riprogrammate potrà permettere in futuro il trapianto autologo, evitando così tutte le problematiche di carattere etico e legislativo riguardo all’utilizzo di cellule staminali embrionali. Quindi esse potranno essere utilizzate per migliorare alcune condizioni cliniche proprie dell’invecchiamento o alcune malattie genetiche che portano all’invecchiamento precoce, ma dubito che potranno costituire una sorta di “fontana della giovinezza”. Nell’uomo, fino a oggi, sono stati evidenziati almeno 250 geni che, in qualche modo, influenzano il processo biologico dell’invecchiamento. Comprendere il loro funzionamento sarà una grande sfida per il futuro dell’uomo.
Grazie, professor Novelli!
Le immagini: alcune cellule riprogrammate; Giuseppe Novelli; John Gurdon e Shinya Yamanaka, premi Nobel per la medicina nel 2012.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)