In una società anestetizzata, nella quale la ribellione è vietata, lo stadio diventa un libero spazio di protesta civile. Dai fischi ad Andreotti a quelli al coreano Psy
I tifosi del Genoa accompagnano don Andrea Gallo per l’ultimo saluto. Quelli del Bologna espongono uno striscione in favore dell’opzione “A” (soldi alla scuola pubblica) al referendum comunale (vedi VITTORIA!). I “rossi” livornesi non perdono occasione per fischiare Silvio Berlusconi, i militari, le forze dell’ordine. La reazione dei tifosi laziali (notoriamente “di destra”) sdegnati per l’omicidio di Gabriele Sandri ha spinto la magistratura verso indagini severe nei confronti dell’agente di polizia che lo ha assurdamente ucciso.
E non si tratta sempre di iniziative di singoli gruppi di tifosi. In molti stadi si è ricordata la morte del povero Stefano Aldrovandi (Petizione di mamma Aldrovandi contro la tortura di stato; Amnesty International, Aldrovandi e i diritti umani in Italia) e la condanna dei quattro poliziotti (tra cui una donna) che lo hanno crudelmente ucciso. In nessuno stadio è stato rispettato il minuto di silenzio per la morte di Giulio Andreotti, individuato unanimemente dal popolo come un personaggio tutt’altro che da commemorare (vedi Andreotti, il “divo” simbolo del potere). Infine, prima della disputa della finale-derby di Coppa Italia, due tifoserie accesamente nemiche, quali quelle della Lazio e della Roma, una volta tanto si sono trovate affratellate nel fischiare quel simbolo dell’imbecillità massmediologica costituito dal cantante (?) coreano Psy e dal suo Gangnam Style, per di più per l’occasione pagato profumatamente coi soldi dei cittadini, molti dei quali alla disperazione per la mancanza di lavoro.
Persino i cosiddetti “buuu razzisti” andrebbero meglio interpretati. Tranne che in rari casi (Busto Arsizio, amichevole Pro Patria-Milan), si tratta delle stesse imprecazioni che si rivolgono a calciatori italiani e bianchi. E, forse, di una inconscia ribellione al “politicamente corretto”. Non appare strano che Fifa, Uefa, federazioni calcistiche nazionali, cioè immensi centri di potere politico-economico, siano così dure contro il “razzismo negli stadi”? Non è paradossale che calciatori strapagati, dalle vite di lusso, siano considerate vittime, mentre siano considerati “carnefici” operai o disoccupati che pagano il biglietto, così contribuendo alla loro ricchezza?
Eh, sì, perché nella società anestetizzata della buona educazione (obbligata, in quanto imposta dai potenti verso i poveracci), del “politically correct”, i tifosi calcistici rappresentano lo spirito plebeo, democratico, viscerale, di chi ragiona con la pancia, di chi urla che “il re è nudo”, ovvero che il potere non ci può sempre propinare falsità, menzogne, spazzatura. È lo spirito di Pasquino. Un’anima che non conosce le parole “moderazione” o “moderati” o “ragionevolezza”, ma è solo “comunista” o “fascista”, sempre ribelle e sopra le righe. E il tifo calcistico diventa un contenitore inviso al potere, agli intellettuali progressisti da salotto, alle persone “perbene”.
Mentre tutto il mondo è in fermento (per ultimi, Occupy Frankfurt, Istanbul, Ankara, Smirne, Spagna) per difendere la libertà e la democrazia, l’Italia, che versa in una situazione socioeconomica tragica, dorme. Anestetizzata, intorpidita e resa ottusa da trent’anni di rimbecillimento massmediatico, dall’assenza di spirito critico. Per non dire dell’ottima organizzazione dei reparti antisommossa italiani, ben più preparati che negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso…
Le immagini: curve di Livorno e Bologna.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 90, giugno 2013)