Corporeità è la parola centrale de L’attracco sulla luna di Daniela Monreale. La poetessa descrive la sua rinata gioia nel rapportarsi alla propria vita, ai mutamenti ineluttabili che questa porta, ai segni del tempo; tutto ciò grazie a “S.”, la persona a cui il libro è dedicato, che ha mostrato all’autrice un nuovo modo di amare, non soltanto l’altra persona, ma anche se stessi e la propria reale esistenza. Così il dato fisico, in questo canzoniere di gioia, amore e gratitudine (mai in senso evangelico, ma in piena, viva e forte materialità), accompagna un percorso dell’anima che si risveglia, cresce e scopre questa sanità stabile, ricostruita nella rimemorazione di momenti passati, sommati a quelli presenti come in un puzzle.
Il verso è arioso, spezzato spesso da enjambement che spiazzano il lettore, ricco di allitterazioni, di richiami fonetici e talvolta di rime, con lo scopo e il risultato di trasmettere luminosità visiva e serenità sentimentale.
Il linguaggio è semplice e lineare, inframmezzato da ricorrenti picchi di plurilinguismo e di termini di alto valore culturale. Interessante l’utilizzo delle note.
Della raccolta (collana Le invetriate, Edizioni Il crocicchio/inEdition editrice, pp. 74, € 11,00), ecco tre esempi.
Brixen, sei anni dopo
Inenarrabile
ai più che sorvolano la friabile bellezza
– questa tellurica bipenne al Cielo questo Duomo
ai piedi della Plöse, come sei anni fa dicevo
in una poesia esangue e colorata al buio –
ancora eretta la traccia di un disegno
mi attraversa.
Mi suggerisce che tu stai vicino a questo
morso di gioia, lo mangi d’amore insieme a me
che divoro.
E la navata percorro albata di un barocco
ormai familiare, ammansito da un organo
che ha un gusto sferico,
la ruota perfetta del Canon di Pachelbel,
quando adolescente avevo in testa
grolle di mani e bocche acuminate,
rosse a metà, sparpagliate come coriandoli in festa,
adesso un imprevisto coup de foudre mi sorride,
ho il cerebro assediato ho la tua foto sul comodino,
qui è la nostra geografia qui è la scena
che non registreremo nella piccola camcorder,
dicono in quattro,
dicono i nostri occhi serafini.
Non riesco più a scriverti,
a ordinare una frase una parola un lemma,
e quel tuo diario infinito non trova più
i miei storditi dormiveglia,
non mi incontra nel conto lineare,
passano mesi di silenzio
come sentinelle affaticate
su una parola grande quanto il mondo.
La tua – che non riposa mai – sfreccia
sul ritaglio infimo di Cielo, aquila rara,
ed io, invece, mi ritiro a lumaca
lasciando filamenti di promesse,
una calca vaporosa di percezioni
che bivaccano sulla tua nuca,
come caldo temporale.
Nella foresta
Tutto cade, veramente cade, anche quando
il momento è alto, maldestro a dire,
quando vacillano i pronomi,
le giunture dei sensi alle parole,
quando il vertice accosta l’ovvietà,
perché abbiamo poche note davvero
per l’unica sinfonia che conta,
quella che ci ha sorpreso, ci ha dimezzato,
ci ha riunito in un accordo
che riempie te, me e il mondo che ci guarda,
così vien voglia di correre nel profondo
di una foresta in fiamme,
e nel respiro mai dimesso
attraversarla tutta, dirne il calore,
fino a bruciare.
(da L’attracco sulla luna di Daniela Monreale, Introduzione di Gabriela Fantato, Edizioni Il crocicchio)
L’immagine: la copertina della silloge di Daniela Monreale, realizzazione della grafica Germana Luisi.
Salvatore Della Capa
(LucidaMente, anno I, n. 2 EXTRA, supplemento al n. 10, 15 ottobre 2006)