Servizio dalla capitale belga dopo gli attentati del 22 marzo. Tanti gli interrogativi e i dubbi: che fare?
A seguito degli attacchi di Bruxelles, così come dopo quelli di Parigi (vedi editoriali del direttore), sono successe tante cose. La paura continua ad aumentare, il susseguirsi di accuse è costante. Cosa sta succedendo veramente nel nostro continente? Siamo ancora al sicuro? Una cosa è certa: l’odio e l’indifferenza sono due risposte entrambe sbagliate.
Il Belgio sta dimostrando una grave incapacità nel prevenire e reprimere il terrorismo di matrice islamica: partendo, ad esempio, dal fatto di aver lasciato uno dei kamikaze stragisti dell’aeroporto di Zaventem libero di scorrazzare su e giù per i suoi confini. Salah Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi, è sempre stato a Molenbeek, protetto da una forte omertà. Tante le lacune nel sistema amministrativo della città. Servizi di intelligence e forze di polizia annaspano: un mostro cresciuto dentro i confini di casa, non affrontato per incapacità o sottovalutazione, proprio lo stesso mostro che si è rivoltato contro il Paese che l’ha allevato.
La sera non c’è più la movida di prima, alcune strade sono deserte, le saracinesche completamente serrate. I turisti? Forse sono rimasti a casa, non vogliono rischiare, come del resto i cittadini stessi. Il primo effetto dopo gli attentati di Bruxelles è l’amplificazione della diversità: l’aumento dell’odio e della paura fanno vedere l’altro come un nemico, da evitare ad ogni costo.
Se fai qualche domanda qua e là, la risposta è quasi sempre questa: «Non sono tutti uguali, ma non puoi saperlo davvero: siamo diversi, è impossibile la convivenza». Forse il terrorismo è riuscito davvero nel suo obiettivo? Anche andare al parco per trascorrere un giorno festivo, come quello di Pasqua, è percepito come pericoloso. Un aereo egiziano è stato dirottato: nessun collegamento con il terrorismo, ma ormai ci si sveglia chiedendosi cosa succederà nel corso della giornata. Il nuovo obiettivo dell’Isis? Scuole e asili nido: vogliono una strage di bambini.
Al contrario dei diffusori del terrore, c’è ancora chi continua a pensare che gli uomini e le donne siano uguali e liberi. Dopo eventi del genere non si può restare in casa, smettere di viaggiare, reagire in modo impulsivo, dare sfogo agli istinti primordiali. Fondamentali sono l’educazione, iniziando dalla scuola primaria, un grande lavoro di polizia, scambio di informazioni tra le varie intelligence, non abbandonare i quartieri difficili. Convivere tutti insieme si può, Daesh sarebbe invidioso.
Nancy Calarco
(LucidaMente, anno XI, n. 124, aprile 2016)