Mancano pochi giorni al fatidico referendum britannico anti Ue. Tanti sono i possibili scenari che si prospettano: banche penalizzate, terremoti nelle borse mondiali, rischio debiti e spread incontrollato
La Brexit crea timore, e appare quasi già macchiata dal terribile omicidio della giovane deputata laburista Jo Cox. «Britain first», ovvero “Prima la Gran Bretagna”, sarebbe stato l’urlo del folle 52enne nell’aggredire la vittima, impegnata nella campagna referendaria per far rimanere il Regno Unito all’interno dell’Unione europea. La tragedia ha sconvolto gli inglesi e ha suscitato molti dubbi e perplessità, tant’è vero che i “Sì” all’uscita dall’Ue, prima maggioritari nei sondaggi, ora sono in regresso.
Brexit è un termine entrato nel linguaggio comune a indicare la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea a seguito del referendum del 23 giugno. La locuzione nasce dall’unione di “Britain” ed “exit” ossia “Gran Bretagna” e “uscita”. La consultazione referendaria è stato indetta dal premier del Partito conservatore David Cameron, per rispondere al Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip), guidato da Nigel Farage. Il Regno Unito ha una propria moneta, più forte dell’euro, e da un punto di vista economico esso non è uno dei membri più penalizzati dall’adesione all’Unione. Oltretutto, è uno stato che contribuisce al bilancio dell’Ue più di quanto riceva sotto forma di “aiuti europei”, ed è proprio questo uno dei motivi per i quali molti sudditi di sua maestà voteranno l’uscita dall’Europa.
Inoltre, i promotori del referendum contestano il fatto che l’Unione abbia perso la sua missione originale, quella di facilitare i commerci tra gli stati membri, imbrigliati oggi da migliaia di norme, sussidi e intrecci fiscali. Infine, i promotori della Brexit si aspettano la possibilità di regolare in modo autonomo l’entrata degli stranieri, senza sottostare alle esigenze di Bruxelles.
Le maggiori ripercussioni sullo stesso Regno Unito sono temute dal sistema finanziario. Londra, capitale europea della finanza, potrebbe subire delle limitazioni alla sua operatività da parte delle altre capitali come Parigi e Berlino; minacce che hanno portato il mondo finanziario londinese a schierarsi unito per il “No” all’uscita. In caso di uscita le banche internazionali stanno preparando piani di emergenza per spostare i centri direzionali in altre città europee. Ripercussioni negative si avrebbero pure sul Pil inglese, sul costo dei mutui (aumentando i tassi di interesse), mettendo a rischio addirittura le pensioni. I conti pubblici potrebbero subire un contraccolpo nelle nazioni dell’area euro, mentre quelli britannici dipendono dalla solidità della sterlina e dalle politiche economiche inglesi. Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, si dice preoccupato per il pericolo di un’uscita della Gran Bretagna, anche se non vede rischi specifici per l’Italia.
Nonostante il poco amore verso l’Ue, non sarà così facile per il Governo Cameron pilotare un’eventuale uscita, essendo già al centro di forti polemiche. Gli effetti sul mercato delle valute e delle obbligazioni, però, già si vedono. Inoltre, il resto dell’Unione spera di ottenere le sedi centrali delle grandi istituzioni finanziarie, oggi tutte situate nella City di Londra.
Esse potranno ereditare un inestimabile giro d’affari, intavolando una guerra commerciale tra l’Europa e Londra. Un voto delicato che alimenta la sensazione di una crisi dell’economia europea: sono proprio gli euroscettici a sostenere quanto sia divenuta soffocante l’Ue e quanto sia diventato sempre maggiore il controllo sui cittadini. Se vincesse la Brexit, il Regno Unito dovrebbe cominciare un negoziato con i 27 leader dell’Unione europea per definire le condizioni della sua uscita. Questo processo potrebbe durare almeno due anni e nel frattempo il Regno Unito dovrebbe rispettare comunque i trattati e le leggi europee, senza poter assumere alcun processo decisionale.
Nancy Calarco
(LucidaMente, anno XI, n. 126, giugno 2016)