L’erogazione dell’indennità economica prevista per i lavoratori autonomi in difficoltà a causa del lockdown e del coronavirus ha prestato il fianco a libere interpretazioni della legge. Giancristiano Desiderio spiega la nostra singolare mentalità nel libro “L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani” (liberilibri)
Si dice spesso che l’occasione fa l’uomo ladro e purtroppo le immense difficoltà dovute alla pandemia da Covid-19 ci hanno fornito fin troppi esempi di come i periodi di crisi facciano emergere certe attitudini della natura umana – ammesso che ve ne sia una. Ne sono un esempio le speculazioni sull’acquisto e la fornitura di mascherine e camici, che in forme diverse stanno ancora animando inchieste e dibattiti.
È tuttavia sull’erogazione dell’indennità di 600 euro ad alcuni parlamentari e amministratori locali che si è concentrata di recente l’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo dell’informazione. Parliamo di un contributo che – ricordiamolo – è stato pensato per sostenere i lavoratori autonomi la cui attività risulti colpita dalla crisi economica conseguente alla pandemia, non certo per favorire coloro che già percepiscono un compenso statale garantito. Il fatto che certi politici si siano arrogati tale diritto, pur legittimo di fronte alla Legge, può essere letto in duplice senso: da una parte come la manifestazione di un malcostume tra i tanti ai quali – ahimè – siamo stati abituati dalla nostra classe politica; dall’altro come la poca cura dell’attuale governo nell’assicurarsi che le misure economiche adottate non si riducano a una generalizzata elargizione di mance, senza preoccuparsi di quali siano le tasche in cui andranno a finire. Il precedente illustre, purtroppo, si è avuto con i casi in cui persino a schiere di malavitosi veniva riconosciuto il reddito di cittadinanza.
Riguardo al bonus per gli autonomi, sarebbe bastato escluderne l’applicazione nei confronti di chi percepisce redditi superiori a una certa soglia, oltre a verificare che l’attività del richiedente risulti realmente compromessa. Sui giornali sono infatti comparse dichiarazioni di alcuni titolari di negozi di ferramenta – i quali hanno potuto rimanere aperti anche durante il lockdown – che hanno tentato di restituire questi 600 euro, a loro parere ottenuti ingiustamente. Il problema riguarda perciò, potenzialmente, anche cittadini che non ricoprono incarichi pubblici, come peraltro mostrato da un servizio della trasmissione Piazza Pulita andato in onda su La7 già lo scorso aprile, in cui si mostrava come il bonus venisse erogato tranquillamente anche a intestatari di conti correnti semimilionari.
Prescindendo però dalle sviste del governo, come leggere il fenomeno dello scarso senso civico che sottende alla questione? Che le speculazioni della classe politica siano solo la minuscola punta di un iceberg che cristallizza una sostanziale e diffusa attitudine del nostro Paese? Recentemente Giancristiano Desiderio ha ben descritto e sintetizzato il rapporto ideologico tra gli italiani e lo Stato ne L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani (Liberilibri Editrice, pp. 144, € 15,00). In estrema sintesi, la tesi centrale dell’agile testo è che in Italia, costituendosi il consenso attorno a blocchi di potere piuttosto che nella convinzione che l’alternanza democratica sia un valore, si sia diffusa una mentalità che chiede più Stato e più potere centrale – in luogo della libertà individuale – per poterne trarre vantaggio e sicurezza a livello squisitamente personale. La “fame” di Stato che talvolta attanaglia il cittadino del Belpaese, quindi, avrebbe ben poco a che fare con una prospettiva realmente comunitaria o addirittura socialista. Il guaio è che in questo modo si rigettano al contempo le inestimabili opportunità di accrescimento della libertà del singolo, specie in economia.
Per certi versi l’emergenza coronavirus sembra aver reso ancor più evidenti alcuni risvolti di una tale forma mentis. Assistiamo a confronti sul tema delle misure di contenimento dei contagi in cui si contrappongono istanze fortemente individualiste, anche in spregio al buonsenso, e altre che si appellano allo stato emergenziale per legittimare con leggerezza – o esaltazione – pesanti restrizioni alla libertà personale e pulsioni stataliste. Si vedano certe acclamazioni ricevute negli ultimi tempi dal governatore della Campania Vincenzo De Luca che, tra il grottesco e lo sfrontato, ha inteso innescare una competizione tra Regioni all’insegna del populismo autoritario e securitario.
Il fascino oscuro del controllo centrale e del “pugno di ferro” non è dunque dietro l’angolo soltanto nelle occasioni che si prestano a far sventolare la bandierina del pericolo “fascista”, dato che oggi sembra colpire specialmente gli alfieri dell’idea del popolo italiano come in condizione di eterna minorità. I nostri difetti li conosciamo ma abbiamo altresì imparato a conoscere quelli dei vicini. All’alba della fase più critica della pandemia, mentre in Italia si mobilitavano immani sforzi e ci si atteneva con disciplina ai provvedimenti restrittivi del governo, altrove vedevamo sfilare i negazionisti del virus in abiti da puffo [in Francia, ndr] e altre amenità. Alla prova dei fatti, perciò, un governo, un amministratore, qualunque altra istituzione e anche il cittadino stesso potrebbero trovarsi di fronte a un Paese più maturo di quel che si aspettavano, sempre se in grado di assicurare le condizioni adatte perché il senso civico non si perda.
Le immagini: la copertina del libro L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani, di Giancristiano Desiderio.
Christian Corsi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 177, settembre 2020)