Prediche inutili su un’emergenza, mentre l’altra… dov’è finita la «prepotente urgenza» delle carceri e della giustizia?
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha voluto far mancare la sua voce anche sulla vicenda Ilva, rispondendo all’appello rivoltogli dagli operai della più grande acciaieria d’Europa. C’è da prendere atto che il supremo garante del dettato costituzionale, nonché presidente del Consiglio superiore della Magistratura, ha inteso con la sua dichiarazione suggerire una “rotta”: conciliare la tutela dell’occupazione con la protezione dell’ambiente e della salute. Esattamente ciò che per decenni non è stato fatto a Taranto, e questo sempre che sia possibile rendere compatibile la presenza del più grande siderurgico d’Europa con la tutela di ambiente e salute.
Il presidente ha di fatto constatato che l’Ilva non ha rispettato in questi anni né le direttive comunitarie, né le leggi della Repubblica. Verrebbe da chiedersi come mai lo stesso presidente che avverte tale urgenza, da oltre un anno eviti accuratamente di utilizzare lo strumento che la Costituzione gli mette a disposizione per ricordare al Parlamento che il nostro Stato in materia di amministrazione della giustizia e per quella che è la condizione delle carceri è uno Stato fuorilegge, che da oltre 30 anni viola le Convenzioni a tutela dei diritti umani e lo stesso dettato costituzionale, assurgendo al ruolo di delinquente professionale.
Non vorrei mancare di rispetto al nostro presidente, ma mi chiedo – devo chiedermi – perché egli si affretti a intervenire con dichiarazioni pubbliche sulla vicenda Taranto, che a mio modo di vedere conferma quanto da tempo va affermando Marco Pannella sulla strage di legalità che si traduce in strage di popoli, e non accolga e raccolga l’appello rivoltogli da oltre 120 costituzionalisti e penalisti su una questione sociale che coinvolge oltre un terzo dei cittadini di questo paese, con corollario di centinaia di morti o forse sarebbe meglio parlare di omicidi di stato. Questo per non dire del danno creato dalla irragionevole durata dei processi all’economia del paese e alla sue possibilità di sviluppo se pensiamo al fronte della giustizia civile.
Lo stesso Napolitano non ha mancato di ricordare che quando era poco più che trentenne fu «un convinto sostenitore della necessità – per la rinascita e lo sviluppo del Mezzogiorno – della costruzione di un impianto siderurgico a ciclo integrale nella città di Taranto». Nel dire che è difficile non interpretare le parole del presidente come una indebita pressione esercitata sulla Procura di Taranto, tocca tracciare un parallelo tra le sue parole e altre parole, quelle pronunciate da Marco Pannella negli anni ’90 e precedenti proprio sulla vicenda Italsider/Ilva.
Quale rinascita e sviluppo abbia prefigurato l’Ilva per la città di Taranto è sotto gli occhi di tutti. Un futuro che Pannella avrebbe voluto di certo diverso quando affermava «Taranto non è l’Ilva, è sbagliato appiattire la città sul suo stabilimento. Chi annuncia e chi prepara la guerra di Taranto vuol prendere per i fondelli i tarantini. Si tratta delle stesse persone, dello stesso regime, che hanno trasmesso a questa città una cultura assistenzialistica e che ora vogliono la guerra». Era un altro lo sviluppo che Pannella immaginava per Taranto quando diceva a Lucio Maraini che «le privatizzazioni di realtà patrimoniali pubbliche non devono necessariamente comportare una “fedeltà al comparto” dei disegni industriali privati. Bisogna riflettere, riconcepire, valutare i costi economici del recupero, valutare i benefici di soluzioni alternative. Ma l’Ilva è quella stessa Taranto che se, ad esempio, avesse visto impiegare un decimo dei capitali gettati negli altiforni, per valorizzare il suo immenso capitale di bellezza, di storia, di cultura, sarebbe “ricca” oggi di masse di “turisti” non di massa».
Storie diverse e anche un diverso senso dello Stato. C’è chi prova a costruire i “momenti” e chi invece afferma che non è il “momento” e che “i tempi non sono maturi”. Verrebbe da citare Popper e la miseria dello storicismo, ma eviterò di farlo. Altre storie, altra storia e con ogni probabilità un’altra Taranto e un’altra Italia possibile e da costruire nelle parole di Pannella che, sempre parlando con Maraini, evoca il Welfare to Work per gli operai e ricorda che in questo paese c’è stata e c’è una classe imprenditoriale che ha socializzato i profitti e collettivizzato le perdite. E così leggiamo di un Pannella che propone il “il salario minimo garantito” e afferma che esso «deve poter risolvere elementari problemi di scontentezza, di attesa, di disagi, di difficoltà». E ancora: «Deve essere quindi “a tempo” e legato ad un calendario di conversione, di investimenti, come dicevo […] e anche di mobilità umana, civile, culturale, eliminata dalla cultura assistenzialista, sindacalista, che difende il “lavoro” anche come “servaggio” della gleba, di uomo incapace di viaggio, di altrove, di ricerca, di orizzonti se non come tabù da non toccare».
Che dire? Anch’io vorrei scrivere una lettera al mio presidente, al supremo garante e vorrei dirgli che ci sono in questo paese questioni e drammi silenziati, così come vengono silenziate le voci di un gruppo di docenti universitari che con fiducia si sono rivolti al capo dello Stato, al garante della legalità costituzionale. Sì, anch’io vorrei scrivere a Napolitano, al mio presidente per dirgli che forse a Taranto è giunto il momento di sperimentare strade diverse, come quella che abbiamo proposto con Maurizio Turco: «investire non già nell’apertura forzata dell’Ilva ma nella sua chiusura». Immaginare altro, per esempio «un piano di disoccupazione industriale strutturale che tenga conto dell’esistente – dalla famiglia Riva all’ultimo dipendente part time dell’ultima società dell’indotto». Immaginare altro: «Investire in un piano di formazione professionale vero (volto cioè allo sbocco professionale non dei formatori ma dei formandi) e rispondente a un piano straordinario per la promozione e il rilancio dell’area jonico salentina in una prospettiva agro-turistico-artigianale. A cominciare dai miliardi di ore/lavoro necessari alla bonifica del territorio».
Al mio presidente, infine, vorrei davvero chiedere il perché di una istantanea risposta sul “Caso Ilva”, che evoca il mancato rispetto di direttive e leggi dello Stato, e dell’assenza di una concreta risposta – l’unica possibile da parte del garante del diritto e della legalità costituzionale – sulla questione giustizia-carceri che fu «prepotente urgenza».
Maurizio Bolognetti – Direzione Radicali italiani e segretario Radicali lucani
(LucidaMente, anno VII, n. 80, agosto 2012)
in cambio del lavoro concreto, sempre qs fumose prospettive agro-turistico-artigianali.
peccato che altrove abbiano già fallito.
perchè, invece, non ci inviti tutti a pranzo e cena a casa tua?
Volentieri, ma forse sbagli bersaglio e dovresti rivolgere la tua attenzione a chi a creato questo disatro che ha portato al sequestro dell’Ilva.
puoi cominciare trovando un posto di lavoro a mio marito, che ora sta all’ilva. oppure puoi pagarci il mutuo sulle spalle.
il disastro è iniziato con l’italsider, non so se hai presente…
la vera sfida è quella di risanare e contestualmente proseguire con l’ilva più compatibile con l’ambiente.
ma siccome qs è difficile e non fa clamore, meglio distruggere tutto.
poi mi spieghi cosa faranno tutti quelli che portano il pane a casa grazie all’ilva. di disoccupati e delinquenti ce n’è già abbastanza. le realtà dove si vive solo grazie al turismo o all’agricoltura (gli agrumeti fatti estirpare per impiantare il fotovoltaico???) o all’artigianato: tutte attività strozzate dalla crisi.