Breve analisi di un tormentato “matrimonio”, costituito da interesse, diffidenze, scontri, disagi economici
Nel vortice dei recenti scontri fra studenti dei collettivi e polizia, è riemersa in tutta la sua urgenza la questione del conflitto sociale nel tessuto urbano bolognese. Il riaffiorare della contestazione giovanile introduce tuttavia a una riflessione più profonda, volta a indagare lo snodarsi del controverso rapporto fra istituzioni universitarie e cittadine, fra residenti e studenti. Un delicato equilibrio fra le parti che ritrae una città variegata e contesa, che non può allontanarsi dalla propria identità storica.
Bologna è in primo luogo città universitaria, il cui sviluppo storico è completamente intrecciato a quello accademico. Fin dalla sua nascita l’istituzione universitaria ha influenzato il volto della realtà cittadina, rendendola luogo di scambio e fruizione del sapere, città di cultura e di avanguardie, attraversata da personaggi di grande rilievo nel panorama intellettuale. La situazione attuale si pone in sostanziale continuità con il passato, evidenziando ancora un forte legame fra il mondo universitario e la fisionomia cittadina. Il polo universitario bolognese vanta infatti circa 85 mila iscritti, la maggioranza di essi fuori sede, da considerarsi una irrinunciabile risorsa per l’economia della città.
La presenza di un numero così elevato di studenti agisce in primo luogo sulla situazione abitativa: la grande richiesta di alloggi nel centro storico, dove si trovano la maggior parte delle sedi universitarie, ha assecondato il vertiginoso aumento dei prezzi di stanze e posti letto e favorito la dislocazione dei residenti verso le più tranquille ed economiche zone periferiche. La comunque alta concentrazione studentesca nel centro storico ne ha considerevolmente modificato il profilo e il sistema socioeconomico, rendendolo il luogo simbolo della cultura giovanile, a uso e consumo della gioventù universitaria e della sua proverbiale goliardia.
Un luogo dinamico e vivace, espressione di vitalità e del divertimento notturno, così come di dibattito politico, che hanno tuttavia favorito un aumento del degrado e della piccola criminalità. Lo stato di decadenza in cui versa piazza Verdi, nel cuore della zona universitaria, alimentato da fenomeni di spaccio, vendita illegale di alcolici e dall’ormai universalmente noto commercio sottobanco di biciclette rubate, si nutre della massiccia presenza di studenti. A tale situazione di degrado, a più riprese denunciata dai bolognesi esasperati, si aggiunge l’azione dei collettivi studenteschi. La condotta di questi gruppi, spesso protagonisti della cronaca cittadina per la loro ricerca dello scontro rissoso piuttosto che del dibattito politico, mina i già fragili rapporti di equilibrio fra cittadinanza e università.
Piazza Verdi è storicamente luogo di scontro fra la città e l’università, ma il frequente ricorso a riferimenti datati, come l’ardito paragone fra il tumulto dovuto alla vicenda dei tornelli e quel Settantasette marchiato a fuoco nella storia di Bologna, denudano l’attuale contestazione giovanile, rivelandone tutto l’anacronismo. Si svela così un’ulteriore frattura fra collettivi e comunità studentesca, nella quale si manifesta un crescente disagio per l’egemonia di fatto di un ridotto numero di studenti che si arroga il diritto di rappresentare le idee della collettività. Questa mancanza di compattezza del corpo studentesco è un segnale storico non trascurabile, che si inserisce nella perdita generale di quel fervore di aggregazione politica che appare ormai relegato al secolo scorso.
Tuttavia, nel particolare, il tramonto della popolarità dei collettivi risente del loro atteggiamento, di orwelliana memoria, di sfruttamento dei problemi comuni per affermare la supremazia di un gruppo. Il recente dibattito attorno all’installazione dei tornelli nella Biblioteca di Discipline umanistiche in via Zamboni 36 appare come un ritratto esemplare di questo contrasto: da un lato le dure proteste dei collettivi, dall’altro la petizione del resto degli studenti volta a rinnegarne l’operato. Al di sopra delle fazioni studentesche, il durissimo sgombero della biblioteca da parte della polizia, azione che cambia i rapporti di forza fra Alma Mater e municipalità, sfidando il dogma degli ambienti accademici come zona franca. Prima dello scorso 9 febbraio, infatti, la polizia non era mai entrata nei locali dell’università
Quel gesto violento è da leggersi come una dimostrazione della durezza annunciata dal rettore Francesco Ubertini e dal sindaco Virginio Merola, che segna un decisivo cambio di rotta e un ulteriore punto di rottura. Ciò che dalla comunità studentesca è stato percepito come lo scontro fra due invasori che ha danneggiato i luoghi e gli strumenti di tutti, è effettivamente manifestazione inequivocabile di un conflitto sociale insorgente e di non facile risoluzione. La condanna del gesto sacrilego compiuto dalla polizia è arrivata pressoché unanime; quella foga distruttrice in un luogo di sapere è inaccettabile.
D’altra parte, se il fermento giovanile e l’attivismo politico costituiscono il cuore pulsante della Bologna universitaria, la difesa del degrado spacciandolo per crogiuolo di diversità favorisce azioni repressive. Sebbene sia innegabile l’esistenza di una “questione studentesca” – e la sua soluzione appare lontana – non si può trascurare l’enorme risorsa economica e sociale che gli universitari costituiscono per la città. Secondo un rapporto condotto dalla stessa Alma Mater, gli studenti portano alla città di Bologna circa 456 milioni di euro ogni anno. Appare dunque evidente come il raggiungimento di un accordo e di un equilibrio sociale sia nell’interesse delle istituzioni e dei residenti in primo luogo e come la creazione di un clima di collaborazione nel combattere il degrado possano giovare soprattutto a coloro che ogni giorno vivono e caratterizzano la zona universitaria.
Isabel Elmi
(LucidaMente, anno XII, n. 141, settembre 2017)