Dopo la separazione dei coniugi non è affatto certo l’affidamento condiviso dei figli: a soffrirne sono soprattutto i padri. Gli esempi europei
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’opinione pervenutaci dall’Associazione Colibrì.
Proprio dieci anni fa, il 12 marzo 2006, veniva applicata per la prima volta la legge approvata dal Parlamento italiano un mese prima (legge 54/2006) sull’affidamento condiviso. Purtroppo, come ricorda la senatrice Emanuela Baio, correlatrice all’epoca del testo col senatore Maurizio Paniz, essa si è rivelata un grande fallimento.
Benché il testo reciti, un po’ genericamente, che «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», di fatto oggi in Italia, dopo qualche anno dalla separazione della coppia genitoriale, il 30% di questi minori diventa orfano di genitore vivo. Molti vedono un genitore (nel 90% dei casi il padre) poche ore alla settimana. Sotto i tre-quattro anni la quasi totalità dei tribunali vieta con una legge non scritta il pernottamento presso il papà. L’Italia è il paese europeo più sanzionato dalla Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) per la violazione dell’articolo 8 che sancisce il diritto di tutti, anche del papà separato, ad avere una vita affettiva e familiare. Una situazione che, come dimostrato dal pediatra Vittorio Vezzetti con una complessa ricerca comparativa presentata presso Onu e Parlamento europeo, ci relega al fondo dell’Europa e che non vede a breve via d’uscita.
Il nocciolo del problema è lo scollamento tra la magistratura italiana, schierata con fior di sentenze, anche di Cassazione, contro una condivisione reale ed equivalente dei tempi (che, secondo i giudici, arrecherebbe ai minori destabilizzanti peregrinazioni tra due abitazioni e a maggiori esposizioni al conflitto familiare) e il corpus dei 75 studi accreditati internazionalmente dal 1977 a oggi. Questi ultimi, con ricerche condotte su centinaia di migliaia di minori, hanno ormai dimostrato inequivocabilmente che le famiglie separate in cui i figli frequentano ognuno dei genitori per almeno un terzo del tempo rappresentano la struttura post separativa migliore, con parametri di benessere molto vicini a quelli delle famiglie unite.
Sul punto è intervenuto il 2 ottobre addirittura il Consiglio d’Europa che, dopo mesi di studio e di audizioni di esperti internazionali, con la risoluzione 2079 ha invitato tutti gli stati ad adeguarsi ai modelli delle nazioni più progredite (Svezia, Danimarca, Belgio) e a promuovere affidamenti che, a partire dall’anno di età, prevedano tempi di permanenza più o meno uguali (compresi comunque nel range 35-65%) presso mamma e papà. Questo in virtù dei benefici documentati di un affido materialmente condiviso e dei danni di un affido sostanzialmente monogenitoriale come quello italiano. La risoluzione a tutt’oggi è stata ignorata e, anzi, la Cassazione a dicembre, con l’ordinanza 25418/2015, si è ancora schierata contro l’affido alternato e materialmente condiviso (ma così anche contro i dati oggettivi che provengono dal mondo della ricerca).
Il più autorevole raggruppamento di associazioni per la bigenitorialità, Colibrì (Coordinamento interassociativo libere iniziative per la bigenitorialità e le ragioni dell’infanzia), ha ripetutamente segnalato ai garanti per l’infanzia, al presidente del Consiglio e alla presidente della Commissione Infanzia la necessità di recepire al più presto la risoluzione del Consiglio europeo e di divulgare il modello del Tribunale di Perugia, unico a rispettarla. Ma non vi è stata alcuna risposta; in questo momento le priorità sono altri tipi di genitorialità e comunque i figli di separati sono abbandonati a se stessi con una sequela di danni di natura biomedica e sociale.
Alcuni comuni dell’Emilia-Romagna hanno persino rifiutato il Registro informativo comunale della bigenitorialità con cui si chiedeva che le informazioni inerenti il minore venissero inoltrate a tutti e due i genitori. Aggiungiamo che dieci anni sono passati senza che si siano avuti cambiamenti sostanziali in ambito affido minorile: ci chiediamo cosa o quanto occorra al nostro paese per adeguarsi e crescere ispirandosi a paesi che prima di noi hanno affrontato questi temi e hanno provveduto strada facendo a migliorarne molteplici aspetti. Invece noi non progrediamo, anzi evitiamo accuratamente di preoccuparci della condizione dei figli dei separati, convinti di fare l’interesse del minore senza quell’umiltà indispensabile di guardarsi attorno e vedere come agiscono altri stati, rimanendo così il fanalino di coda d’Europa.
Roberto Castelli – vicepresidente di Colibrì (Coordinamento interassociativo libere iniziative per la bigenitorialità e le ragioni dell’infanzia)
(LucidaMente, anno XI, n. 123, marzo 2016; editing e formattazione del testo a cura di Gabriele Bonfiglioli)