Uomini incappucciati smascherati dai manifestanti e canali Telegram per identificare i poliziotti responsabili delle violenze. Così i dimostranti resistono al presidente-autocrate Lukashenko
Quattro mesi; tanto è passato dal 24 maggio 2020, data di inizio delle proteste in Bielorussia scatenate dall’arresto di Sergei Tikhanovsky, blogger e imprenditore candidatosi alla carica di presidente. La sottovalutazione dell’epidemia di Covid-19 da parte del capo dello Stato Aleksandr Lukashenko – «per uccidere il virus […] è necessario fare la sauna, bere tanta vodka e lavorare molto», aveva dichiarato – e le accuse di corruzione hanno incendiato massicce dimostrazioni di piazza, con l’obiettivo di spodestare l’ultimo dittatore d’Europa, in carica dal 1994.
I manifestanti, riuniti sotto il nome di Svetlana Tikhanovskaya, moglie di Tikhanovsky e candidata presidente al suo posto dopo l’arresto, non hanno mostrato alcun segno di cedimento, nonostante una repressione brutale operata dalla polizia speciale (Omon) e da «squadre paramilitari anonime». I numeri, in continuo aumento dopo ogni giornata di proteste, raccontano di una vera e propria guerra: 5 morti, 300 feriti e oltre 9.300 arrestati. Per fronteggiare più di 400.000 dimostranti (il numero esatto è difficile da calcolare), Lukashenko ha schierato 16.500 membri delle Forze armate e 1.500 membri dell’Omon. Le elezioni, svoltesi lo scorso 9 agosto, hanno consegnato al leader uscente la rielezione con l’80% delle preferenze. Solo il 10% avrebbe votato per Tikhanovskaya. Le accuse di brogli hanno moltiplicato le dimostrazioni di dissenso e gli scioperi; la risposta delle Forze dell’ordine è stata spietata: «manganelli, proiettili di gomma […], granate con palline di piombo, cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e colpi di pistola» sono stati usati per reprimere l’opposizione. Un vero e proprio arsenale militare che include le cosiddette “flash bang”, granate stordenti la cui vendita era stata vietata alla Bielorussia nel 2010.
Un recente reportage della Bbc ha riferito come, fra le migliaia di persone arrestate, molti raccontino «storie di torture». Non solo, i video mostrano che «la maggior parte degli arresti vengono condotti da uomini mascherati, indossando vestiti che non forniscono alcuna indicazione su chi siano e a quale organizzazione appartengano». I manifestanti vengono portati via su furgoncini anonimi. Durante le proteste delle prime settimane di settembre, però, alcune donne «hanno iniziato a prendere la situazione in mano, cercando di identificare gli uomini e renderli responsabili per le loro azioni». Azioni coraggiose (e pericolose) come queste sembrano aver dato i primi frutti: sul database di leak files Organized Crime and Corruption Reporting Project Occrp Aleph è stato pubblicato un documento dal titolo Lista degli ufficiali di polizia coinvolti nella repressione delle proteste. Contiene oltre duemila nomi, spesso corredati del grado e dell’ufficio di appartenenza, di membri delle Forze dell’ordine identificati durante le manifestazioni. Il processo di associazione fra i volti ripresi nei video e le persone avviene sui canali Telegram, diventati la fonte primaria di notizie sulle ribellioni bielorusse (al punto che i nomi degli agenti sono stati svelati dal canale Nexta Live). Come rivelato alla Bbc, «vengono rubati database della polizia e […] si usano algoritmi di riconoscimento facciale per trovare le persone».
Analizzare in dettaglio il database è un’impresa, soprattutto perché è interamente in cirillico. Estrapolare alcuni dati significativi risulta comunque possibile: dei circa 2.000 coinvolti nella repressione del dissenso, 677 appartengono al «Dipartimento degli affari interni della regione di Brest», 295 al «Ministero degli affari interni» e 166 al «Dipartimento degli affari interni del Comitato esecutivo regionale di Brest». I ruoli degli ufficiali sono i più disparati: si va dal semplice «Maggiore della polizia» a gradi più elevati come «Capitano della polizia e vice capo del Dipartimento di sicurezza», fino all’altisonante (e un po’ inquietante) «Maggiore del Servizio interno e Direttore operativo senior del Gruppo di supervisione e tracciamento del Dipartimento delle operazioni della Direzione Regime». Quest’ultimo viene indicato come un «alto funzionario operativo»; segno che a reprimere le aspirazioni democratiche del popolo bielorusso non sono solo semplici poliziotti.
Le immagini: foto della repressione delle proteste in Bielorussia a seguito dell’arresto nella scorsa primavera del candidato alla presidenza Sergei Tikhanovsky.
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 178, ottobre 2020)