“Ratzinger il rivoluzionario incompreso” (edito da “il Giornale”) di Francesco Boezi riesamina la figura e l’opera del pontefice tedesco, con tante citazioni dei suoi discorsi
Uno degli avvenimenti più sconcertanti di questo scorcio di secondo millennio è stato la rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI (Joseph Aloisius Ratzinger). Il successore, Jorge Mario Bergoglio, ovvero Francesco I, ha destato entusiasmi, ma anche forti perplessità.
Il papa tedesco era apparso freddo, troppo distaccato dagli umori delle masse, un “dotto” fuori dal tempo. C’è, invece, chi si entusiasma per il suo successore, caldo e simpatico, un pontefice che si esprime alla buona, come un parroco di campagna; e chi meno. C’è chi aderisce al suo terzomondismo e al suo invito a un’accoglienza indiscriminata dei migranti; e chi si pone qualche realistica domanda. Il potere politico radical chic sembra ascoltare più i suoi richiami ecologisti (vedi Papa Francesco, un’enciclica per il futuro del pianeta) e islamofili che la sua difesa degli italiani poveri su lavoro e pensioni (disoccupazione causata dalla “legge Fornero”); e c’è chi rimpiange Benedetto XVI. Ratzinger il rivoluzionario incompreso. Il Pontefice più coraggioso del XXI Secolo vittima del pensiero unico progressista (pp. 50, € 2,50, edito nella collana fuori dal coro de il Giornale e attualmente in vendita nelle edicole) torna sul predecessore di Francesco I e sulle peculiarità del suo pontificato (19 aprile 2005-28 febbraio 2013).
L’autore dell’agile pamphlet è Francesco Boezi, giornalista e blogger (vedi …E continuavano a chiamarlo populismo). Nei quattro capitoletti nella quale è divisa la pubblicazione, l’autore difende Benedetto XVI dalle distorsioni della sua figura da parte del campo “progressista”. In particolare, evidenzia la sua lotta alla pedofilia all’interno della Chiesa cattolica (documento De delictis gravioribus del 2001 ed espulsione di centinaia di preti macchiatisi di nefandezze); la sua denuncia della finanziarizzazione dell’economia e la sua «rivalutazione dell’economia del dono»; la sua condanna del relativismo, ideologia totalitaria che impedisce di arrivare a qualunque verità, giungendo fino al nichilismo assoluto.
Persino l’atto finale del suo pontificato è visto da Boezi come un invito alla riflessione sulla logica del servizio in «tempi in cui nessuno lascia qualcosa per il bene di qualcuno o qualcos’altro. La logica umanistica, così, prevalse, nel rovesciare l’andazzo del legame dell’uomo con il potere». Tuttavia, l’aspetto di Benedetto XVI che più appare “rivoluzionario”, soprattutto se guardiamo alla realtà odierna, nella quale l’Europa sembra aver rinunciato del tutto alla propria identità culturale e alle proprie radici, è la difesa della civiltà europea e, quindi, occidentale. Si leggano, ad esempio, le parole pronunciate il 24 marzo 2007, nel corso dell’Udienza ai partecipanti al congresso promosso dalla Commissione degli Episcopati della Comunità europea (Comece): «Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia. […] Si potrebbe quasi pensare che il Continente europeo stia di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire».
E, ancora, sempre nello stesso intervento: «Inoltre, per quanto riguarda, ad esempio, il rispetto dell’ambiente oppure l’ordinato accesso alle risorse ed agli investimenti energetici, la solidarietà viene incentivata a fatica, non soltanto nell’ambito internazionale ma anche in quello strettamente nazionale. Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari “capitoli” del progetto europeo siano stati “scritti” senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini. Da tutto ciò emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente».
Ed ecco lo “sguardo lungo di Ratzinger: «Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero?». Altrettanto illuminante il discorso tenuto da Ratzinger il 22 settembre 2011 a Berlino, presso il Parlamento tedesco: «A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza».
Più specificatamente, «la cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico». Ma già il 13 maggio 2004, quando ancora non era stato nominato pontefice, l’allora cardinale Ratzinger, nella biblioteca del Senato italiano, ex chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva, su invito dell’allora presidente del Senato, Marcello Pera, aveva tenuto una lectio magistralis dal titolo Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, affermando di avvertire: «un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro».
Pertanto, «la multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa fa parte l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza». E, visto che l’islamizzazione dell’Europa-Eurabia-Eurafrica avanza, ci piace concludere con la citazione di una frase dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa, ripresa da Benedetto XVI nell’ambito della celebre lectio magistralis su Fede, ragione e università, pronunciata il 12 settembre 2006 presso l’Università di Ratisbona (Regensburg) durante il suo viaggio in Baviera: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava».
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)
Con grande tristezza ci tocca constatare che sono veramente rimasti in pochi in difesa dell’Europa come la conosciamo oggi, anzi, fino a ieri, e quasi tutti sono stati bollati come “islamofobici”, fascisti, razzisti, populisti ecc, ecc. Sarebbe stato consolatorio se l’ideologia che sta pian piano soppiantando la cultura europea fosse almeno stato qualcosa di nuovo, mai esperimentata, futuristica… Invece no, la sta soppiantando la peggior ideologia, la peggiore cultura regressiva conosciuta dall’uomo negli ultimi 20 secoli!