Una nostra lettrice si chiede perché tutti ci vogliano “allietare” con una musica che nessuno ha chiesto di ascoltare
Nonostante sia dotata di una cultura molto modesta, mi considero una persona amante del bello, dell’arte, della letteratura, ed anche della musica. Sono cresciuta negli anni Settanta e quindi ho amato i Beatles (molto più dei Rolling Stones), la musica della West Coast, David Bowie, i Pink Floyd, i classici gruppi rock-pop e, solo più tardi, alcuni cantautori italiani, De Gregori in primis e poi De Andrè. In seguito mi sono anche appassionata alla musica classica, specie quella da camera. Occasionalmente qualche amico mi ha fatto apprezzare il soul.
Oggi, a cinquant’anni suonati amo molto il silenzio, non accendo quasi mai lo stereo, né tanto meno la televisione. Preferisco ascoltare il fruscio del vento tra le foglie, le onde del mare che si infrangono sulla battigia, la voce del mio compagno, che mi parla o che canta i suoi canti devozionali (e mi piace tanto che io canto con lui o almeno ci provo).
Mi piace ascoltare le voci delle persone che mi parlano, come quella di mia figlia, anche se spesso è solo per brontolare, l’abbaiare festoso della mia cagnetta quando torno a casa. Mi piace anche passeggiare specialmente in mezzo alla natura, ma anche tra le strade di un paese o di una città nota o sconosciuta e, a volte, entrare in un bar per un caffè o in un ristorante per un pranzo o una cena. Come tutti, poi, anche se il meno possibile, devo frequentare anche qualche supermercato, piccolo o grande che sia, o qualche altro esercizio pubblico.
Ma in quanti di questi luoghi ormai si può entrare senza essere investiti da una qualsiasi musichetta (“muzak” la chiamava John Lennon)?
Poche sere fa abbiamo dovuto chiedere se almeno potevano abbassare il volume, dato che, tra il suono della musica e le voci degli altri avventori, si parlava con difficoltà; il giorno successivo in fila al supermercatino mi sono trovata (e dovevo star lì per non perdere il posto) proprio sotto l’altoparlante che sparava note di musica leggera; al bar dove si fa colazione al mattino, secondo chi c’è dietro il banco si può fare il “toto volume”, ma sempre musica c’è; passeggi per la strada e ti passa di fianco un’auto a tutta velocità (rombo del motore) e col finestrino aperto con la radio a palla; arrivi in una qualsiasi spiaggia attrezzata e dall’altoparlante dello stabilimento escono annunci vari e musica (come si fa a sentire il rumore del mare? l’unica è andare alla spiaggia libera, ma lì c’è l’immondizia). L’usanza la ritrovo ovunque vada.
Insomma, ma perché tutti ci vogliono “allietare” con una musica che nessuno ha chiesto di ascoltare?
Non è una violazione della libertà personale? Non sarà che qualche “scienziato” ha studiato che, come una volta si diceva che le vacche ascoltando la musica, producevano più latte, anche il consumatore produce più reddito? Non è che ci vogliono tutti “felici e contenti” (o contenti e coglionati?) perché così pensiamo meno alle cose serie, alla crisi per esempio, ci distraiamo e ci dilunghiamo nei nostri acquisti, al “piacevole” (secondo loro) suono di una musica suadente? Non mi meraviglierebbe sapere che ci sono studi di marketing al riguardo, anzi ne sono sicura!
Perciò io dico BASTA alla musica nei luoghi pubblici!!!
I bar, i ristoranti, i negozi, le spiagge, dovrebbero, potrebbero tornare a essere semplicemente luoghi di incontro in cui fare acquisti e parlare, ascoltare e leggere parole.
Caterina Regazzi – Treia (Macerata)
(LucidaMente, 16 agosto 2011)