Sono trascorse poche settimane dall’attentato sulla Rambla e il vero pericolo lo corriamo ogni giorno. E non è il rischio di attentati
Non è difficile innamorarsi di Barcellona. Una città cupa e misteriosa se osservata tramite i vicoli del Barrio Gotico, una vivace metropoli di mare se vista dall’alto di Montjuïc, romantica se vista al tramonto da Park Güell, ricca di movida la notte a Port Olimpic. Gotica e moderna, multietnica e catalana. «Barcellona ti entra nel cuore e ti ruba l’anima» scrive Carlos Ruiz Zafón, famoso scrittore barcellonese, ne L’ombra del vento (vedi anche la recensione del suo Il Principe della Nebbia) e chi l’ha visitata non può che concordare.
Il 17 agosto sembrava essere un giorno come tanti altri nella capitale della Catalogna. La Rambla era invasa dai chioschi di souvenir e dai turisti esattamente come pochi giorni prima. L’unica differenza? Un furgone bianco lanciato a tutta velocità determinato a fare una strage. Davanti a Younes Abouyaaquoub, il giovane alla guida del veicolo, poteva esserci chiunque. Se il ventiduenne si fosse mosso qualche giorno prima, potevo esserci pure io. Ma per fortuna ero già a casa, in Italia, e quell’orrore l’ho visto solo tramite lo schermo. Le immagini della Rambla hanno fatto in poche ore il giro del mondo e sono piovute condanne del gesto da tutto l’Occidente – e non solo. Nelle ultime settimane l’indignazione per l’ennesimo attacco al nostro modo di vivere si è fatta strada sulle bocche di tutti. Oriana Fallaci è stata osannata come una recente Cassandra da chi non ha mai letto un suo libro e i soliti razzisti hanno avuto pane per i loro denti.
Tralasciando i soliti luoghi comuni, però, c’è stato anche tanto spazio per il dolore. Quello delle vittime e dei loro cari ma soprattutto quella malinconia secondaria, che segue l’indignazione dei primi giorni, quella consapevolezza di trovarsi in un mondo sempre più «rivoltante», per citare Angela Merkel. Un mondo in cui la spensieratezza di una semplice passeggiata si può trasformare in panico. È questo «un effetto che riguarda tutti noi, anche se siamo lontani» afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli.
«Panico e non paura perché il nostro nemico non ha volto: è un anonimo che vuole colpire altri anonimi» e il pericolo nel quale la nostra società può cadere, secondo l’esperto, è quello di regredire. Rischiamo di diventare uomini che agiscono per pulsioni e che «non sono in grado di controllarsi più». I veri nemici, infatti, non sono i terroristi di cui sentiamo parlare sempre più spesso. Non sono quei disadattati di turno che vengono indottrinati. Ciò che dobbiamo temere davvero è l’effetto che tutto ciò può avere su di noi. I nostri sforzi devono tendere a farci essere nient’altro che noi stessi. Persone qualunque che non sospettano di chiunque parli arabo o non annullano viaggi nelle grandi città per pura paranoia. Che non rispondono con la guerra a chi non ha neanche il coraggio di combatterla. Persone che, forti di valori che superano i lavaggi del cervello condotti da “cattivi maestri”, sanno reagire con intelligenza.
«Trattare con loro è impossibile, ragionarci impensabile» scriveva la Fallaci ne La rabbia e l’orgoglio, uno sfogo più che un libro. Un manifesto da sbandierare per quanto veritiero, un urlo di indignazione verso un Occidente addormentato. Ma è davvero diventando assassini, sospettosi e violenti, che possiamo sconfiggere il terrorismo? Diventeremo solo figli della paura, uomini come loro. E dico uomini non a caso, perché non abbiamo di fronte bestie, come spesso si dice.
L’uomo purtroppo non è solo chi è offeso, ma anche chi offende. E l’errore della nostra società è non capirlo. Ciò da cui dobbiamo fuggire non è il terrorismo ma la trasformazione che stiamo subendo. E con questo non intendo giustificare atti terroristici o l’Occidente addormentato ritratto dall’Oriana. Credo solo che il «wake up» che lei gridava nel suo pamphlet vada applicato diversamente. Quali valori, quali diritti difenderemo, infatti, trasformandoci in violenti? Il diritto a passeggiare temendo attacchi da un momento all’altro? Il diritto di odiare il primo musulmano che incontriamo? «We are all victims» gridavano i musulmani a Barcellona. E non c’è città al mondo che possa istruirci più di essa. Una città che gridava di non avere paura mentre seppelliva i propri morti, che continua ad accogliere rifugiati difendendo la comunità araba presente in Catalogna.
Una città famosa in tutto il mondo per la Sagrada Familia. Più di un monumento, un simbolo. Una chiesa che è l’incarnazione della religione. Non la cristiana, non la cattolica né la musulmana. Una religione tutta nuova e allo stesso tempo la più antica del mondo. Non basata su regole e comandamenti ma sul culto della serenità e della fratellanza, sull’equilibrio. E l’augurio più bello che si possa fare al mondo, specialmente dopo questi episodi, è di riscoprire quel tipo di armonia. Non distinguendo tra chi è uomo e chi non lo è. Non trasformandoci in vittime intolleranti, ma riscoprendo ogni giorno la bellezza dell’essere semplicemente ciò che siamo e non il riflesso di una società malata.
Valentina Paganelli
(LucidaMente, anno XII, n. 141, settembre 2017)
Per poter risolvere un problema devi prima individuare la causa, nel immediato tamponare per limitare i danni e per il futuro bisogna trovare dei provvedimenti per rimuovere/eleminare del tutto la causa. La causa del terrorismo islamico è l’islam stesso, il jihad violento è nato con il Maometto ed è sigillato sul corano e sui hadith, il jihad durante la storia è andato pure in letargo ma è stato sempre vivo. Cercare di evitare “l’effetto che tutto ciò può avere su di noi.” senza rimuovere la causa e come cercare di tenere in galla una barca non tappando il buco ma cercando di svuotarlo con il calice del brindisi!
Cosa vuol dire comportarsi da persone intelligenti e non seguire i cattivi maestri? Quali poi?
Occorre essere realisti, vedere se non la causa di questo fenomeno almeno gli effetti immediati e futuri sul nostro popolo, la sua cultura, economia, tradizione e valori (cattolici, non i falsi valori della rivoluzione, che stanno per morire). Pretendere che lo stato faccia il suo dovere e garantisca sicurezza al popolo italiano (fin troppo paziente) e la giustizia persegua il bene comune, non posizioni ideologiche dagli effetti nefasti e per i quali giustizia non verrà mai fatta.
Il paese si svegli!