Il sentimento di inadeguatezza che l’uomo prova di fronte alla Natura, e che ha determinato la nascita di credenze e religioni, si riflette in maniera significativa nello spazio che nella produzione artistica è riservato all’elemento magico
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L’arte figurativa ha sempre avuto la propensione a esprimere tematiche legate al soprannaturale, sia per quanto riguarda le rappresentazioni religiose che quelle magiche. Esiste infatti una serie di fenomeni e atteggiamenti legati alla credenza, da parte dell’uomo, in alcune forze misteriose che ispirerebbero sia la produzione di oggetti o figure che i temi di alcune iconografie artistiche.
Le motivazioni che spingevano un artista a creare edifici, sculture, dipinti, amuleti erano relative al voler accattivarsi le forze della natura e, al contempo, esorcizzarle. L’immagine stessa è caricata di valenze magiche: in diverse culture, distruggere un’immagine equivaleva a distruggere l’originale, poiché essa veniva considerata un’estensione dell’originale. I rapporti tra arte e magia sono stati senza dubbio favoriti dalle sensazioni di stupore e meraviglia che scaturiscono sia dalla produzione artistica che dalle pratiche magiche; lo stato in cui opera l’artista è sempre stato equiparato findall’antichità alla trance o all’estasi, quasi che le opere fossero ispirate da divinità o esseri superiori. Il legame tra arte e magia si può far risalire addirittura alla preistoria. I disegni primitivi tracciati nelle caverne avevano spesso valenza magico-religiosa: un bisonte dipinto sulle pareti e poi usato come bersaglio rappresentava il bisonte che si sperava di uccidere durante la battuta di caccia; non solo, queste immagini pare avessero lo scopo di placare lo spirito dell’animale o delle divinità che lo proteggevano.
In effetti, l’immagine della divinità veniva considerata operante di per sé: è per questo che alcune religioni ne proibiscono la raffigurazione, mentre altre considerano le produzioni artistiche un mezzo per insegnare e propagare la fede. Persino l’immagine di demoni, cui solitamente viene attribuita valenza negativa, può contribuire sia all’indottrinamento, mostrando il destino che attende i trasgressori dei precetti religiosi, sia avere funzione apotropaica allo scopo di scacciare gli spiriti maligni o i più concreti nemici umani. Il massimo riscontro fra arte e magia si ha nel Rinascimento, periodo storico caratterizzato dalla riscoperta delle antiche divinità pagane, da un ritorno dell’uomo all’interesse verso la natura, dall’avvento dell’alchimia e del neoplatonismo. L’arte, punto di contatto fra microcosmo e macrocosmo, è ora considerata una disciplina in grado di esprimere in maniera estetica e simbolica le conoscenze umane più elevate, fondendo così l’umano col divino, lo spirito con la materia.
Le rappresentazioni di simboli o allegorie nelle produzioni artistiche sono numerosissime: esse spaziano dall’astrologia, all’alchimia, all’allegoria di vizi e virtù, fino alla raffigurazione di simboli e condotte strettamente attinenti alla sfera della magia: paioli, bacchette, vasi con unguenti, rituali, ecc. Ma non esistono solo opere celebrative nei confronti di arti magiche, miracoli e via dicendo; in alcune opere viene invece sottolineato un altro aspetto: l’assurdità di tali credenze, da considerare esclusivamente come mere superstizioni. Alcuni artisti come Hieronymus Bosch e, in Italia, Salvator Rosa, hanno voluto rappresentare il mondo della stregoneria e della magia tramite immagini intenzionalmente repellenti, sacrileghe e cruente ma, nello stesso tempo, ricche di ironia e satira, soprattutto in riferimento all’attività di indovini e chiaroveggenti, riconosciuti come ciarlatani. Anche l’arte può dunque risultare un utile strumento di riflessione.
Le immagini (a cura di r.t.): La cura della follia (forse 1480, olio su tavola, 48 x 35, Madrid, Museo del Prado) di Jeroen Van Aeken, meglio noto come Hieronymus Bosch (’s-Hertogenbosch, 1450-1516). Il dipinto è accompagnato da una scritta in tedesco (vedi margini superiore e inferiore), che recita: «Maestro, cava fuori le pietre (della follia), il mio nome è Lubbert Das» (letteralmente bassotto castrato, vale a dire sempliciotto, credulone). Evidentemente, anche nel passato risultava molto salutare lo scetticismo. Sempre di Bosch (o della sua scuola), Il prestigiatore (1502, olio su tavola, 53 x 65, Saint-Germain-en-Laye, Musée Municipal). Wikipedia spiega così il dipinto. Sullo sfondo di un muretto su cui crescono varie erbette, la composizione è divisa in due metà: a destra il prestigiatore, che esegue un gioco con palline e tiene alla cinta un canestro con una civetta, animale notturno simbolo in genere negativo, ma che, ricorrendo in molte opere dell’artista, è stato variamente interpretato. Vicino si trova un cagnolino con un berretto da giullare. Nell’altra metà si vede la folla dove il sempliciotto, che è piegato in due, sta vomitando rane, forse per effetto di un trucco del ciarlatano o forse come simbolo della sua immoralità. Dietro di lui un complice del prestigiatore, con fare indifferente, gli sta rubando la borsa dei denari appesa alla cintura. Tra i vari personaggi (una coppia, una monaca e vari borghesi), spicca in basso un fanciullo che tiene in mano una girandola e che guarda curioso e divertito la scena. Infine, Streghe e incantesimi (intorno al 1646, olio su tela 72,5 x 132,5, Althorp House, collezione Lord Spencer) di Salvator Rosa (Napoli, 21 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673). Un vero e proprio allucinato e allucinante sabba (r.t.).
Fiorella Rustici – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 94, ottobre 2013)
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