Il de profundis al notabile democristiano che ha contribuito, col suo cinismo intriso di bigottismo, a ostacolare il progresso civile dell’Italia
Secondo certi, forse maliziosi, commentatori, tra Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti – scomparso, come si sa, pochi giorni orsono – correva una differenza sostanziale: quando andavano in chiesa, De Gasperi parlava con Dio, mentre Andreotti… con il prete! Questa osservazione si è rivelata, nel tempo, piuttosto fondata: il “divo” Giulio, che è stato tra i protagonisti della politica italiana per oltre mezzo secolo, si è sempre districato tra i suoi marosi con tortuosi tragitti di chiaro stampo chiesastico, risalenti ai tempi dei Borgia. Il leader democristiano, infatti, si è adattato magnificamente all’influsso paralizzante che il potere ecclesiastico ha esercitato sul Belpaese.
Nel torbido periodo immediatamente posteriore alla caduta del fascismo, la funzione della Chiesa fu determinante per la restaurazione del vecchio regime oligarchico italiano, in voga prima del ventennio mussoliniano. Il paternalismo, caratteristico dell’Italia umbertina, fu incarnato nel Secondo dopoguerra soprattutto dalla Democrazia cristiana, di cui Andreotti fu figura di primo piano: col suo fare curialesco e la sua disponibilità verso i “poteri forti”, anche in odore di mafia, egli fu sempre in sintonia con la Chiesa e ostacolò l’emancipazione laica, di certo più nobile di qualsivoglia servilismo, della società italiana (come ben delineato dal regista Paolo Sorrentino nel film Il Divo del 2008). Il sistema di potere democristiano, tuttavia, fu travolto dall’ondata neoliberista scatenata tra gli anni Ottanta e Novanta dal capitalismo globalizzato.
Gli Stati Uniti, chiamati a governare il mondo dopo la vittoria nella Guerra fredda, superarono di slancio le proprie remore puritane, imponendo una “finanza allegra” in luogo dell’industrialismo che aveva predominato in precedenza l’economia internazionale. Figure come quella di Andreotti furono ridimensionate dalla poderosa avanzata dei valori neoliberisti, così come la politica del Vaticano, costretta ad adeguarsi ai meccanismi economici imposti dalla globalizzazione. Nell’ultimo ventennio l’Italia, grazie anche alle pressioni esercitate da Washington, è stata spronata ad abbandonare il suo proverbiale provincialismo, ma non c’è riuscita fino in fondo. A frenare la metamorfosi civile della “Italietta” bigotta e conservatrice ha contribuito – tra gli altri – anche l’arido atteggiamento devozionale, portato avanti da un personaggio freddo e cinico come Andreotti, emblema di un Paese ipocritamente ancorato ai (dis)valori tradizionali.
L’immagine: la locandina del film Il Divo di Paolo Sorrentino; una foto di Giulio Andreotti.
Dario Lodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 89, maggio 2013)