Per i “kizilbas” (le “teste rosse”), tolleranza e apertura verso le altre religioni sono valori positivi, le donne hanno la stessa dignità dell’uomo, il matrimonio è monogamico, è consentito bere alcoolici…
Il seguente testo è estratto dagli archivi di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica». Abbonandosi a NonCredo, in un anno si possono ricevere a casa propria 600 pagine, con oltre 300 articoli come questo, ma inediti. Il costo? Meno di un caffè al mese: formato pdf 17,00 euro; formato cartaceo 29,90 euro: http://www.noncredo.it/abbonamenti.html.
Ali Ilhami Dede era un religioso, e precisamente un musulmano alevita. Nessuno però lo conosce, nessuno studia i suoi scritti, né in Europa, né tanto meno in Turchia, dove l’alevitismo è considerato una setta e i suoi adepti discriminati ed emarginati dal resto della comunità.
In Turchia essere alevita è addirittura più pericoloso che essere un non-musulmano. Gli aleviti sono tra i quindici e i venti milioni, vivono tra la Turchia e l’Azarbaijan occidentale e, pur considerati “eretici” dalla stragrande maggioranza sunnita, sono musulmani a tutti gli effetti, essendo originariamente sciiti. La grande differenza sta nel fatto che mentre gli sciiti credono nei dodici imam e attendono la parusia (ricomparsa) del dodicesimo imam, Muhammad al-Mahdi, che si è occultato nell’anno 874, gli aleviti ritengono che, in attesa del suo ritorno, un santo di origine turca, Hajj Bektash Wali, abbia ereditato la sua missione utilizzando anche elementi presi da altre religioni: un sincretismo che non ha precedenti nel mondo islamico. A causa di ciò gli aleviti, anche detti kizilbas (teste rosse), hanno subito persecuzioni e massacri, dato che la maggioranza musulmana (sunnita) sostiene che l’islam è l’ultima rivelazione e che Maometto è il sigillo dei profeti.
Gli aleviti vengono considerati dagli altri musulmani eretici, traditori, immorali, perché non seguono i precetti islamici. Essi, infatti, rifiutano la sharî‘a (letteralmente: “la via di dio”; nel senso comune, la legge islamica) e non credono che il Corano sia la parola eterna di Âllâh, ma che sia un testo sacro da leggere però in maniera critica. I riti aleviti non prevedono le cinque preghiere quotidiane (salat), né il pellegrinaggio alla Mecca (hajj), né il mese del digiuno (ramadhân): essi digiunano solo dieci giorni, all’inizio del mese di muharram. Anche la “tassa sociale purificatrice” (zahât), terzo pilastro dell’islam, viene seguita dagli aleviti in maniera personale e libera: non ci sono indicazioni prestabilite per la carità. Il pensiero alevitico è intriso di amore verso il prossimo e di rispetto verso l’uomo in quanto essere unico e irripetibile. Gli aleviti sono tolleranti e mostrano massima vicinanza agli uomini di altre religioni o etnie. Grande valore viene anche dato al lavoro, che è considerato il più grande atto di fede.
Per l’alevitismo non esiste differenza tra uomo e donna agli occhi di dio, non è importante quindi il sesso di nascita ma l’essenza della persona. Le donne godono degli stessi diritti degli uomini, pregano al loro fianco durante le solennità religiose (cem, durante le quali è previsto tra l’altro l’utilizzo di alcolici), che, a differenza delle altre pratiche musulmane, sono in lingua turca e non in arabo. Le donne sono libere di vestirsi con abiti moderni, non coprono né la testa né il viso, sono libere di studiare, di praticare la professione che preferiscono, libere di vivere una vita seguendo le proprie inclinazioni. Questa parità di diritti ha trasformato anche i rapporti privati tra uomo e donna, e fra gli aleviti è d’obbligo la monogamia, altra differenza fondamentale con l’islam ortodosso, che invece prevede la poligamia.
Purtroppo la vita, il pensiero e la storia degli aleviti, proprio per le diversità riscontrate all’interno della grande famiglia musulmana, sono ricche di odio e persecuzione. La cultura alevitica subisce quotidianamente attacchi da parte della maggioranza sunnita. Lo stesso governo turco procede con forza a programmi di assimilazione obbligando i giovani aleviti a seguire programmi educativi ortodossi, non lasciando alcuno spazio alla loro diversità, al loro pensiero, alla loro vitalità. L’alevitismo dovrebbe essere difeso dalla comunità internazionale, prima di tutto perché ogni minoranza ha il pieno diritto di manifestare il proprio credo e di vivere la propria esistenza in maniera libera, secondariamente perché le forme di religiosità alevitiche porterebbero a un islam meno aggressivo, a un islam compatibile col resto del mondo.
Vedi anche: Turchia/Erdogan apre ad aleviti: Per prima volta in libri scuola.
Luigi Mazza – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 92, agosto 2013)
Per saperne di più sul bimestrale NonCredo e sulla Fondazione Religions free, editrice della rivista. Siti: www.noncredo.it; www.religionsfree.org. Telefono: (+39)366-5018912. Fax: 0766-030470. Indirizzi e-mail: fondazione, info@religionsfree.org; rivista, noncredo@religionsfree.org. Abbonamenti alla rivista (€ 29,90 per sei numeri, conto corrente postale 97497390; IBAN IT34M0832739040000000007000): www.noncredo.it/abbonamenti.html; abbonamenti@religionsfree.org.