Partendo da un triste caso di cronaca, alcune considerazioni di un nostro lettore sulle politiche sociali attuate e la denuncia del rischio del business
Gentile direttore,
è di pochi giorni fa la triste notizia di una giovane madre di tre figli che si è suicidata e ha contemporaneamente ucciso la figlia lanciandosi dal terzo piano di una comunità protetta di Torino.
Ora, se ne può fare un’analisi semplicistica e superficiale e, sommando il due più due che gli operatori, più coinvolti che interessati, normalmente forniscono in casi analoghi, può sembrare che la signora non fosse stata sufficientemente curata o non avesse ricevuto sufficiente supporto psicologico o psichiatrico o che, Dio glielo perdoni, chiedendo disperatamente di potersene andare dalla casa famiglia o almeno di lasciare vivere la figlia con il padre, non si sia adeguatamente sottoposta alle raccomandazioni imposte. E questa è una visione che apparentemente regge.
Invito invece ad andare un poco oltre e a prendere in considerazione situazioni che assomigliano a quelle della madre in questione e ad analizzarle profondamente. Sulla base di cosa è stabilita la reclusione di madre e figli in casi simili? Aiuto? Solidarietà? E, ancora: se in molti casi i figli sono allontanati dai genitori perché i genitori non sono in grado di mantenerli, perché non aiutare questi genitori a crescere i propri figli e questi figli a essere cresciuti dai propri genitori con un sussidio, che in termini di costi è sicuramente inferiore al mantenimento di personale e strutture sociosanitarie, invece di costringerli a vivere separati? Dov’è il bene dei bambini, che dovrebbe essere tenuto in considerazione come prima cosa dalle figure che invece dovrebbe assistere? Ma, soprattutto, dov’è il lucro, a quanto ammonta il guadagno sulla speculazione del disagio di alcune famiglie? Non conosco il caso specifico e tutti gli aspetti clinici, eppure anch’io potrei impazzire se i miei figli mi fossero portati via.
Forse andrebbero rivisti i criteri con i quali vengono prese simili devastanti decisioni, e verificare se ci siano in coloro che le stabiliscono motivazioni diverse da quelle caritatevoli e misericordiose. La mia comprensione va a quella famiglia distrutta, il mio disprezzo a quelle persone che l’hanno attivamente causata. Invito i cittadini a informarsi, perché, attraverso le tasse che paghiamo, stiamo mantenendo un business che negli effetti scardina il pilastro su cui si fonda la società, la famiglia appunto, e a rendersi conto che il problema ormai sta coinvolgendo gli interessi personali di pochi e i danni irreparabili di molti.
Nessuno purtroppo può dirsi al sicuro, è sufficiente una segnalazione, un’interpretazione, un errore e la macchina si muove, con una solerzia encomiabile che troppo spesso non tiene conto degli aspetti umani. Del resto, c’è un mercato legato a questo. E, preciso, non mi sto riferendo a situazioni di effettiva violenza, maltrattamenti o disperazione, che possono giustificare un allontanamento dalla famiglia perché la vita di un bambino è in pericolo. Sto parlando di persone che incontrano difficoltà. E chi non ne incontra?
Cordiali saluti
M.M.
(LucidaMente, anno VII, n. 75, marzo 2012)
Condivido in pieno l’articolo. Le motivazioni date per il sequestro dei figli, sono quelle di tutelare i loro diritti in relazione alle leggi nazionali ed internazionali pubblicate. Di fatto sono in primis le istituzioni stesse che le violano, poichè producono nei bambini i peggiori disagi.
Potrebbe apparire come una barzelletta, ma sarebbero da intervistare i bambini così allontanati e qualora essi riconoscessero di stare peggio di prima, denunciare magistrati, assistenti sociali, psichiatri infantili e via dicendo per la violazione di quelle medesime leggi a tutela dell’infanzia, dato che prova alla mano è che hanno causato danno ai bambini e non un beneficio, vale a dire in flagranza di reato.
Questo varrebbe a mettere enfasi che i bambini hanno diritto alla loro opinione e questa è la sola che determina se l’allontanamento è stato a loro beneficio o meno e NON dall’opinione degli adulti o altre persone, poichè è pura imbecillità valutare gli aspetti affettivi di altre persone (i bambini), come pure violazione della loro privacy e libertà di scelta.
Si, potrebbe essere un’idea assurda questa e non applicabile, ma ritengo che in situazioni di questo tipo i bambini debbano poter dire la loro e debbano essere presi in considerazione, altrimenti tutta questa faccenda suona tutta come l’epoca dell’Inquisizione, in chiave moderna.
Cordialmente,