Alberto Bevilacqua, nato a Parma il 27 giugno 1934, laureato in giurisprudenza e in astrofisica, è narratore, poeta, regista, sceneggiatore. Attira fin da giovane l’attenzione di Leonardo Sciascia, che legge il suo dattiloscritto La polvere sull’erba, scritto nel 1955 all’età di appena vent’anni; vorrebbe pubblicarlo, decide però di non farlo a causa del tema trattato: il cosiddetto Triangolo rosso, ossia le vendette incrociate fra ex partigiani ed ex repubblichini avvenute dal 1946 al 1948 nel territorio compreso fra Parma, Modena e Mantova. Il romanzo sarà dato alle stampe solo nel 2000, da Einaudi.
Il suo esordio come poeta si ha nel 1961 con la pubblicazione de L’amicizia perduta (Salvatore Sciascia), che raccoglie poesie composte in un arco di tempo che va dal 1952 al 1960 e già apparse su riviste come Paragone e La Fiera Letteraria. Scriverà poi Una città in amore (Rizzoli, 1962).
Il successo internazionale arriva con La Califfa (Rizzoli, 1964) e con Questa specie d’amore (Rizzoli, 1966, premio Campiello).
L’occasione, l’incontro, la breve intervista – E lo scorso 7 giugno, l’occasione per avvicinare lo scrittore emiliano è stata la settima edizione della rassegna del Sabato del villaggio, iniziativa culturale ormai molto sentita a Lamezia Terme, avente come tema della serata Ritratto di uno scrittore. Mi incuriosiscono alcune affermazioni personali e forti di Bevilacqua, che intendo approfondire. Egli è un uomo di cultura varia; oltre a essere laureato in giurisprudenza, lo è anche in astrofisica, coniugando quindi così i suoi interessi umanistici con quelli scientifici. Ciò che però colpisce maggiormente è la vita dell’uomo, che ha vissuto per tanto tempo con un pesante macigno sulle spalle: quello di vedere la madre spegnersi lentamente a causa della forma di depressione più sfiancante che esista, quella maniacale. Proprio questo aspetto ho voluto cogliere nella seguente intervista. Bevilacqua ha infatti analizzato a lungo le possibili cure per questa malattia e nell’intervista rilasciata dopo l’incontro culturale ha illustrato i risultati delle sue riflessioni.
Qual è stata la sua esperienza diretta con la depressione?
Mia madre ha avuto il torto di provenire da un ambiente violento, di essersi innamorata di un uomo che non l’ha sposata. Mio padre era aviatore militante nelle camicie nere, andava e veniva, ma lei è sempre stata lì ad attenderlo. Alla fine, come una diga che non regge più le acque di un fiume in piena, così la sua mente è scoppiata e la depressione l’ha colpita. Ho studiato per una vita il problema e posso dire per certo che si può uscire dalla depressione, esistono dei terapeuti preparati. Purtroppo vi sono anche, in Italia e in Europa, dei medici che fanno il possibile per non far guarire la gente, perché addormentano, mettono dei mattoni su dei mali che si possono curare anche velocemente e devastano, soprattutto, la psiche femminile.
Si preferisce lasciar soffrire i malati di depressione…
Non si vogliono guarire le malattie diffuse. E’ nell’interesse di certo potere politico che ci sia gente che soffre. Ancora oggi si continuano a curare questi malati con sedativi e con l’elettroshock.
Quali scienziati l’hanno più colpito fra quelli da lei conosciuti?
Ho conosciuto Carlo Rubbia, sicuramente un grande, ma, più che fisici, io ho conosciuto interventisti paralleli, cioè grandi diabetologi, grandi analisti della mente come Ronald D. Laing, il migliore nel mondo anglosassone.
E se volesse chiarire a se stesso chi sia Bevilacqua?
Chi è Alberto Bevilacqua? Per me un peso, per gli altri non lo so.
L’immagine: Alberto Bevilacqua intervistato da Dora Anna Rocca.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno III, n. 12 EXTRA, 15 luglio 2008, supplemento al n. 31 dell’1 luglio 2008)
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