Un residente di via Fondazza ha creato un gruppo su Facebook per familiarizzare con i vicini di casa, attirando l’attenzione su quella che è diventata la prima social street italiana
Per un bolognese pensare a via Fondazza significa immaginare i caratteristici portici, le storiche botteghe, la casa-museo del pittore Giorgio Morandi e le affascinanti strade dei dintorni. Da qualche settimana, però, in qualità di prima social street, Fondazza è diventata la via più famosa d’Italia, attirando l’attenzione di telegiornali e quotidiani nazionali.
Nata da un’idea del giornalista ed esperto di comunicazione Federico Bastiani, papà 36enne, l’iniziativa promuove una rete di solidarietà e complicità tra gli abitanti della medesima zona, accrescendo le relazioni tra i vicini di casa − che magari prima non si conoscevano nemmeno – e dando la possibilità di chiedere e offrire aiuti di vario genere. Tutto è partito dalla creazione di un gruppo su Facebook rivolto, appunto, ai residenti della storica via nel centro di Bologna. L’esperienza, acclamata dai media nazionali, si è rivelata “contagiosa”, poiché ha avuto seguito anche in città come Roma, Milano e Ferrara; inoltre, esiste un sito (www.socialstreet.it) che riporta esperienze condivise, curiosità ed eventi, quali cene e flashmob, organizzati per uscire dall’individualismo e conoscersi. Per saperne di più, abbiamo intervistato proprio l’ideatore Bastiani.
Benvenuto, Federico, e grazie per essere ospite di LucidaMente. Vuoi spiegare ai nostri lettori in che modo ti è venuto in mente di realizzare una social street?«Alla base c’è la volontà di sentirsi parte di una piccola comunità, sensazione difficile da provare in una città. Pensavo che gli abitanti cercassero l’anonimato e non avevo grosse aspettative sul successo del gruppo Residenti in via Fondazza a Bologna. Infatti, sebbene vivessi da tre anni in questa strada, non conoscevo nessuno, nemmeno i miei vicini. La loro risposta, invece, è stata clamorosa, sia a livello numerico sia di partecipazione, e mi ha fatto comprendere ciò che avevo provato fino a quel momento, ovvero un senso di isolamento e di indifferenza che mi rattristava molto; volevo fare qualcosa per cambiare il mio stato emotivo».
Dunque hai sentito la necessità di concretizzare una realtà oltre i confini virtuali, partendo però da Facebook…«Esatto. Lavorando dieci ore al giorno, le possibilità di stringere amicizie in strada per me erano nulle. Facebook mi ha aiutato in tal senso, permettendomi di instaurare i primi contatti in rete e di passare, poi, alla vita vera».
Cosa comporta fare parte di una social street? In che maniera vi aiutate nella quotidianità?«Premetto che l’obiettivo è creare occasioni di divertimento e condivisione: organizziamo social trekking (camminate per i colli bolognesi), social dinner (scambi di cene tra i vicini), andiamo al cinema, festeggiamo compleanni, facciamo aperitivi… Lo stare insieme è il motore di tutto e avere fiducia in chi ci abita accanto è fondamentale per il buon funzionamento della social street. Una volta stabiliti questi legami, l’eventuale richiesta di aiuto non viene percepita come un “dovere” né un obbligo reciproco. Il meccanismo non è “io faccio qualcosa per te e tu per me” bensì “io faccio qualcosa per te perché sei il mio vicino di casa e non mi costa niente aiutarti”. Sentirsi parte di una comunità e sapere di non essere soli rappresentano un grande guadagno che va al di là dei vantaggi materiali».
In via Fondazza avete organizzato diversi eventi: quale ti ha particolarmente divertito o coinvolto?«Ciò che più mi ha emozionato è stato il flashmob natalizio del 15 dicembre scorso. Avevo invitato gli abitanti a darsi appuntamento a un’ora precisa. Non sapevo quale sarebbe stata la loro risposta e non immaginavo cosa sarebbe successo, poiché avevo solo chiesto di venire fuori per uno scambio di auguri. Si sono presentate più di cento persone e a quel punto abbiamo coinvolto anche i musicisti della strada, che sono usciti di casa con i propri strumenti intonando canzoni di Natale. Il livello empatico era alle stelle e ho pianto (http://www.youtube.com/watch?v=fFrpLu_cIco)».
In molti hanno seguito il vostro esempio, in una sorta di effetto domino. Come ti senti all’idea di avere avviato un fenomeno sociale?«Attualmente nella provincia di Bologna le social street sono oltre 40 e 166 nel resto d’Italia. Questo mi fa molto piacere perché, se davvero si riuscisse a ricreare ovunque il clima di via Fondazza, che dire… sarebbe fantastico!».
I residenti sono più uniti da quando si trovano all’interno della rete di solidarietà. C’è per caso qualcuno che non ha aderito o non l’ha fatto volentieri?«Il problema in realtà resta coinvolgere chi non ha Facebook e mi rendo conto di tale limite, ma stiamo cercando di risolverlo, sempre grazie alla disponibilità delle persone che possono spendere del tempo in strada a parlare con gli altri e non stando solo connessi a internet».
Un’iniziativa che amplia, dunque, i confini mentali e fisici dei residenti e che potrebbe fare tendenza al punto di estendersi a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, dando vita a tante “famiglie allargate” e dimostrando che anche un social network, se utilizzato con criterio, può rivelarsi utile e divertente.
Le immagini: via Fondazza social street; i residenti della storica strada di Bologna; Federico Bastiani, ideatore dell’iniziativa.
Maria Daniela Zavaroni
(LucidaMente, anno IX, n. 99, marzo 2014)