Revocato il decreto dopo pochi giorni, era una trovata pubblicitaria. Immediata la reazione del web
Un borgo incantato nel cuore della Svizzera, circondato da boschi di conifere e montagne innevate, 25 chilometri di piste da sci e sentieri escursionistici, Bergün è un piccolo paradiso situato nel cantone dei Grigioni, a 1.367 metri nella regione dell’Albula.
Il paesaggio ideale per collezionare scatti da cartolina, da mostrare agli amici al ritorno dalle vacanze oppure, perché no, da condividere sui social a colpi di like. Tuttavia, lo scorso maggio il sindaco di Bergün, Peter Nicolay, sembrava voler rovinare la festa ai fotoamatori di tutto il mondo, imponendo il divieto di scattare fotografie sull’intero territorio comunale, pena una multa simbolica di 5 franchi (equivalenti a 4,60 euro). Il motivo? Bergün è troppo bello, e le sue foto rendono infelice chi non può visitarlo. Un monito che ha a che vedere con una sindrome di recente formazione: la “Fomo”, acronimo di fear of missing out, ovvero la paura di rimanere esclusi da un evento importante, che colpisce specialmente i fanatici dei social network, ossessionati dal bisogno di controllare ciò che fanno gli altri.
Dopo pochi giorni dall’approvazione ufficiale del decreto, il consiglio comunale ha annunciato un dietrofront, svelando l’intento pubblicitario del provvedimento. Nel frattempo, però, la notizia aveva fatto il giro del mondo, scatenando le polemiche di turisti e appassionati di fotografia. Mentre decine di critiche e commenti negativi riempivano la pagina Facebook del piccolo comune, qualcuno ha addirittura ritirato le prenotazioni delle vacanze dal paesino da favola.
Che se ne parli bene o male non importa, l’importante è che se ne parli: l’obiettivo reale dell’iniziativa del sindaco era infatti quello di attirare l’attenzione sul piccolo comune di Bergün, che risente non poco della concorrenza dei celebri vicini St. Moritz e Davos. Una singolare tecnica di marketing – organizzata a tavolino dall’associazione Grigioni Turismo, in collaborazione con il comune e l’agenzia pubblicitaria Jung von Matt/Limmat di Zurigo – che mirava a racimolare turisti in occasione della stagione estiva. Il primo cittadino aveva fatto un appello persino alla Nasa, per chiedere all’agenzia americana di rimuovere dal proprio database tutti gli scatti realizzati dal satellite, fornendo le coordinate esatte di Bergün.
Ma in un recente video, diffuso nel canale YouTube del comune montano, il sindaco ha confermato personalmente l’intento pubblicitario del decreto: «La bellezza del nostro villaggio è diventata famosa in tutto il mondo grazie al nostro divieto di fotografare. Milioni di persone in tutto il mondo hanno mostrato interesse per Bergün e questo ci rende davvero orgogliosi».
Infine Nicolay ha invitato tutti a raggiungere il comune montano per scattare bellissime fotografie, nella speranza, però, di non far soffrire troppo chi non può vederlo con i propri occhi. Forse è ancora presto per confermare la riuscita del progetto promozionale di Bergün, ma certamente i suoi artefici hanno colpito nel segno. In un’epoca ossessionata dalla comunicazione, la fotografia è uno strumento di facile portata che permette a chiunque di raccontare la propria identità. Il divieto di Bergün compromette questa possibilità, e soprattutto sfida uno dei principi fondamentali dell’era digitale: se non lo condividi sui social è come se non lo avessi vissuto.
Alessia Giorgi
(LucidaMente, anno XII, n. 140, agosto 2017)