Con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922 iniziava il ventennio fascista. È un evento oggi irripetibile… o no?
Un secolo fa, il 28 ottobre 1922, migliaia e migliaia di aderenti al Partito nazionale fascista si diressero verso la capitale italiana per imporre con la forza un nuovo Governo con a capo il loro leader, Benito Mussolini. L’avvenimento passa alla storia come Marcia su Roma. I simpatizzanti la definirono un’azione militare inarrestabile; gli antifascisti un colpo di stato.
In realtà, non corrisponde a verità alcuna delle due affermazioni. Non si trattò di un’incontenibile azione di forza, dato che i soldati schierati del regio esercito regolare avrebbero potuto facilmente spazzare via i manifestanti con la forza, la maggior parte dei quali erano stati, tra l’altro, per la maggioranza, già bloccati alle porte di Roma. E non fu un vero e proprio colpo di stato, visto che il 30 ottobre fu il re Vittorio Emanuele III, a capo della monarchia, che di certo non fu abbattuta, a incaricare Mussolini di formare un nuovo esecutivo. E il giorno dopo il neopresidente del Consiglio del Regno d’Italia formò un governo con tre ministri fascisti, due popolari, due democratico-sociali, due liberali, due militari, un nazionalista e un indipendente. Un governo di coalizione, dunque, che ottenne la fiducia da parte della netta maggioranza del Parlamento, con l’appoggio di quasi tutti i partiti: alla Camera con 306 voti a favore, 116 contrari (socialisti, comunisti e pochi altri a titolo personale) e 7 astenuti (rappresentanti delle minoranze nazionali); al Senato con 196 voti favorevoli e 19 voti contrari). E, guarda caso, proprio cento anni dopo, nel nostro Paese le elezioni legislative sono state nettamente vinte dal partito (Fratelli d’Italia) giudicato da taluni erede del Movimento sociale italiano, dunque della Repubblica sociale, dunque del fascismo mussoliniano: un’impressionante e facilona proprietà transitiva (pari a chi afferma – ma sono pochi – che il Partito democratico è discendente del comunismo stalinista).
Da qui le eterne polemiche “antifasciste” sulla legittimità di governare da parte di partiti ritenuti non democratici (vedi Attenti a «Lui»… Anzi, a «Lei»). Dopo il boom elettorale di Giorgia Meloni i pochi patetici nostalgici celebreranno l’anniversario della Marcia su Roma; gli altri, numerosissimi tra radical chic, mass media e dorato mondo dello spettacolo, la useranno per agitare il solito spauracchio. Le restanti, minoritarie, menti libere cercheranno di riflettere ancora una volta in modo equilibrato su un evento che aprì un lunghissimo periodo della Storia italiana. Si può liquidare con un giudizio netto un regime che è durato oltre vent’anni e che ha investito politica, economia, cultura, istruzione, arte, architettura, urbanistica, costumi della nostra nazione?
C’è chi lo fa senza mezzi termini. E – crediamo – chi costruisce verità manichee è quasi sempre un superficiale e uno studioso non serio, se non in malafede. Ad esempio, lo «storico della mentalità» (sic!) Francesco Filippi, i cui libri hanno titoli “netti” e alquanto faziosi: Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto o Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo. Beato lui che ha tali certezze e tale finezza da inserire idiozie come sottotitolo di un’opera che vorrebbe essere “scientifica”! Ma bisogna pur vendere qualche copia in più! Probabilmente il Filippi non ha letto alcuno dei volumi scritti da uno storico di vaglia e non di parte come Renzo De Felice, che ha offerto un quadro variegato e problematico del regime fascista, ponendosi anche il perché dell’indubbio crescente consenso popolare nei confronti delle politiche mussoliniane, non certo dovuto solo alla propaganda di massa. Anche lo storico ed ex partigiano Claudio Pavone infrange la lettura univoca della Resistenza definendola Una guerra civile (il che può assumere un doppio significato) e sottraendola alla retorica celebrativa. Inoltre, l’autore tratta delle orrende violenze commesse sia dai fascisti repubblichini sia dai partigiani, ammettendo che entrambi erano una minoranza rispetto agli italiani, che attendevano solo la fine della lunga guerra, una parte cercando di dare una mano ai perseguitati come gli ebrei o ai soldati italiani in fuga dopo l’abominio dell’8 settembre.
Appunto, riguardo il tragico periodo dell’invasione angloamericana e alleati, dell’occupazione nazista e della guerra civile (1943-45), delle stragi naziste e fasciste si sa già tutto e ampi sono la bibliografia, la narrativa, la filmografia, il giornalismo, su tali orrori. Molto meno analizzati e portati alla conoscenza dell’opinione pubblica sono i massacri come l’eccidio di Schio; quest’ultimo, ancora più grave perché commesso, come tanti altri nel Triangolo della morte, a guerra finita e, quindi, con una abietta finalità solo vendicativa, e per di più con la “punizione” di donne minorenni accusate di essere fidanzate o amanti di presunti fascisti. Per non dire della macelleria di piazzale Loreto, ancor oggi rivendicata come splendida azione antifascista.
D’altra parte, il fascismo risulta indifendibile e insopportabile, oltre che per la violenza, l’aggressività, la brutalità, la roboante retorica, proprio per le sue scelte più importanti e “definitive”, che tante comprensibili (ma non giustificabili) reazioni di odio hanno suscitato: la violenza squadrista (1919-22), il delitto Matteotti (1924), la cancellazione di libertà e democrazia e l’imposizione del totalitarismo, l’intervento militare in appoggio a Francisco Franco e ai falangisti nella Guerra civile spagnola (1936-39), l’aggressione all’Etiopia (1935-36) e all’Albania (1939), le leggi razziali (1938), l’entrata in guerra a fianco della Germania nazista (1940). Di fronte a tali fatti prevale l’indignazione e l’orrore. E a poco serve contestualizzare questi avvenimenti o argomentare che le altre potenze, liberali e democratiche, hanno pure loro degli scheletri nell’armadio quali il colonialismo e l’imperialismo con sfumature razziste, lo spietato sfruttamento di risorse e uomini, molteplici crimini di guerra o contro l’umanità come l’annientamento di Dresda o le bombe atomiche sganciate sulle città giapponesi o, ancora, il razzismo radicato negli Stati uniti. Ma il Ventennio non si esaurisce solo negli avvenimenti citati poco sopra: se è sciocco pensare che il fascismo sia stato una manna dal cielo per gli italiani, è altrettanto assurdo ritenere che in più di vent’anni non abbia combinato nulla di positivo. Per di più, si trattava di un regime con alla base una forte ideologia (fondata sulla filosofia neoidealista di Giovanni Gentile) con un progetto di riorganizzazione complessiva della società, dell’economia, della cultura, del costume, che coinvolgeva tutte le classi sociali.
Affermare, secondo la vecchia e logora vulgata marxista-leninista, che si sia trattato di un semplice rigurgito reazionario manovrato dai possidenti agrari, dagli industriali, dalla borghesia medio-alta, dalle classi agiate, è fuorviante, oltre che falso. E, allora, opere pubbliche e infrastrutture, legislazione sociale, l’intervento statale nell’economia, il compattamento della nazione come comunità, l’aver sottratto il nostro Paese agli effetti più devastanti della Grande crisi del 1929, la lotta alla mafia, gli aiuti, gli stimoli e gli incentivi alla cultura, alle arti e allo sport, un’istruzione di alto livello. Sono questi alcuni dei fattori che possono farci capire l’enorme popolarità e l’appoggio che lo stato mussoliniano ebbe non solo entro i nostri confini, ma anche all’estero, e da parte non di fascistoidi, ma di liberali e democratici, come in Gran Bretagna o negli Usa. Infine, il fatto che l’ideologia fascista non avesse quei caratteri razzisti e fanatici di quella nazista ha fatto sì che, mentre in Germania Adolf Hitler sia esecrato, in Italia il “Duce” lo sia molto meno.
Ma oggi è possibile una riproposizione o una riedizione di un regime fascista? Nel giro di pochi anni sono stati girati due film sull’immaginario ritorno di redivivi Führer in Germania (Lui è tornato, 2015, diretto da David Wnendt dall’omonimo bestseller di Timur Vermes) e di Mussolini in Italia (Sono tornato di Luca Miniero, del 2018, che si ispira nettamente al primo); a dimostrazione della preoccupazione sempre viva che nel XXI secolo possa instaurarsi un’altra dittatura, un altro autoritarismo. Ma quale? Non certo nelle stesse, riconoscibili forme dei regimi dispotici del XX secolo: le persone se ne accorgerebbero e si ribellerebbero. E se un’altra, arrogante tirannia stesse già vincendo? Pensateci bene. Un’élite dominante e spocchiosa al potere, partiti e presidenti del Consiglio non vincenti in consultazioni elettorali o prevalenti in elezioni-farsa con una partecipazione risibile, mancanza di attiva vita democratica, tessera verde per potersi spostare e lavorare, trattamenti sanitari obbligatori, colpevolizzazione di facili capri espiatori, individuati in minoranze dissidenti, proclamazione di continue emergenze, mass media asserviti, così come scienza e medicina, un’istruzione di basso livello e ideologizzata, prona al pensiero dominante, stato di guerra e conseguente miseria. Tutto questo a cosa vi fa pensare?
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 202, ottobre 2022)