Nel saggio “Qualcuno corre troppo” (Edizioni Gruppo Abele) Lamberto Gherpelli denuncia l’uso di sostanze stimolanti e l’abuso di farmaci nella storia del calcio
Il doping nello sport è una iattura che non si riesce a contrastare con la dovuta severità. Sono decine di milioni, infatti, gli atleti (dilettanti e professionisti) che assumono sostanze stimolanti, come da tempo denuncia Sandro Donati (vedi Campioni senza valore). Nonostante la vigilanza esercitata dall’Agenzia mondiale antidoping (Wada), il fenomeno è difficile da debellare, anche a causa dei trucchi impiegati per vanificare i controlli (vedi Mike Tyson: «Per eludere antidoping usavo un pene finto»).
Nuove e vecchie denunce
Le recenti morti di Siniša Mihajlović e di Gianluca Vialli hanno riaperto il dibattito sulle possibili cause dei numerosi decessi di ex giocatori di calcio. Il presidente della Lazio Claudio Lotito, gli ex calciatori Dino Baggio, Florin Răducioiu e Walter Sabatini hanno messo in relazione le gravi patologie di Mihajlović e Vialli con i farmaci e gli integratori assunti quando giocavano. Il ct azzurro Roberto Mancini ha invece negato che ci sia un nesso certo (vedi Morte Vialli, Răducioiu: «Dobbiamo chiederci perché. Prendevamo molte sostanze». Mancini: «Bisogna andare coi piedi di piombo»). L’ex giudice Raffaele Guariniello ha colto l’occasione per sottolineare che sul doping «siamo tornati indietro di 30 anni, a quando si faceva molto poco» (vedi Stefano Caselli, Guariniello: «Doping nel calcio? Non si sa più nulla. Siamo tornati a trent’anni fa»). L’ultimo caso in serie A ha riguardato il difensore dell’Atalanta Josè Luis Palomino, che lo scorso luglio è risultato positivo al Clostebol (un anabolizzante), ma poi è stato assolto dal Tribunale nazionale antidoping.
Molti ex calciatori hanno ammesso di aver assunto farmaci o sostanze sospette durante la propria carriera (Franz Beckenbauer, Beppe Bergomi, Lamberto Boranga, Barry Hulshoff, Marcello Lippi, Ferruccio Mazzola, Jan Peters, Carlo Petrini, Bernd Schuster, Marco Tardelli, Zico, ecc.). Mazzola e Petrini, in particolare, hanno scritto due sconvolgenti libri che hanno scatenato vivaci polemiche (vedi Ferruccio Mazzola, Il terzo incomodo, Bradipolibri; Carlo Petrini, Nel fango del dio pallone, Kaos edizioni). Anche Zdeněk Zeman ha denunciato l’abuso di medicine nel football, accusando nel 1998 i calciatori della Juventus di aver a lungo praticato il “doping farmacologico”. Dalle sue dichiarazioni ha preso poi spunto un’inchiesta di Guariniello che ha portato al rinvio a giudizio di alcuni dirigenti del Torino e della “Vecchia signora” (alla fine, però, tutti assolti o prescritti).
Il libro di Gherpelli
Una ricerca approfondita sull’uso di sostanze dopanti nel “gioco più bello del mondo” è contenuta nel saggio Qualcuno corre troppo. Il lato oscuro del calcio (Edizioni Gruppo Abele, pp. 336, € 20,00) del giornalista sportivo Lamberto Gherpelli. L’autore sfata la leggenda secondo la quale il football sarebbe rimasto in passato immune dalla piaga del doping, in quanto fin dagli anni Cinquanta «si trovano invece molte prove dell’abuso di farmaci da parte di numerosi club, col sospetto che anche allora c’era chi ricorreva al doping». Le prime ammissioni in tal senso furono fatte da Carlo Parola che nel 1950 confessò di aver assunto varie pastiglie di simpamina, un farmaco derivato dall’amfetamina. Nel 1954, dopo la finale della Coppa Rimet vinta dalla Germania Ovest contro l’Ungheria, cinque giocatori tedeschi furono colpiti dall’itterizia, forse provocata da «iniezioni di glucosio con sovraccarico per il fegato».
La prima denuncia circostanziata sul doping nel calcio nostrano risale al 1961, quando Gerardo Ottani – primario ortopedico dell’Ospedale maggiore di Bologna ed ex calciatore – pubblicò l’opuscolo Doping e calcio professionistico (Edizioni della Lega nazionale della Figc). Ottani riportò l’esito di una ricerca condotta tra il 1959 e il 1961, dalla quale era emerso che «il 22 per cento dei calciatori professionisti italiani usava amfetamine, il 51 per cento glucosio e simili, il 55 per cento analettici (stimolanti del sistema nervoso), il 68 per cento ormoni e l’84 per cento dinamogeni (sostanze ad azione stimolante sulla muscolatura)». Nel 1964 fu poi Vittorio Pozzo a rivelare – sul quotidiano La Stampa – che già nel calcio dei suoi tempi c’era chi faceva uso di «ingredienti chimici e farmaceutici». L’ex commissario tecnico azzurro, inoltre, testimoniò di aver visto un collega distribuire negli spogliatoi «un medicinale […] per rinvigorire i giuocatori» e di aver scoperto – durante una gara del 1958 al tristemente noto Velodromo d’Hiver di Parigi – che Fausto Coppi si dopava.
Uno scudetto in bilico…
L’inchiesta di Ottani indusse la Federazione italiana giuoco calcio a introdurre gli esami antidoping a partire dal campionato 1961-62. I primi a risultare “altamente positivi” ai controlli furono tre calciatori dell’Inter allenata da Helenio Herrera, che vennero puniti con due giornate di squalifica e una multa. Alla fine del torneo risultò che si erano dopati «ventiquattro giocatori su 289 giocatori di serie A e B complessivamente sorteggiati» (appartenenti a nove club: Alessandria, Bologna, Brescia, Inter, Juventus, Lazio, Mantova, Milan e Pro Patria). Negli anni seguenti le positività furono frequenti e, in particolare, il 2 febbraio 1964 le analisi antidoping rilevarono tracce di amfetamine nelle urine di cinque giocatori del Bologna. La compagine felsinea, impegnata con l’Inter nella lotta per lo scudetto, venne penalizzata di tre punti. Le controanalisi (eseguite a maggio) diedero, però, esito negativo e la penalizzazione fu tolta alla squadra rossoblù, che alla fine vinse il torneo 1963-64.
Negli anni Settanta si cercò di migliorare le prestazioni sportive col massiccio consumo di farmaci (Bentelan, Cortex, Lysen, Micoren, Novocaina, ecc.). Si fece ricorso anche a nuove pratiche come l’“autoemotrasfusione” (che consente una maggiore ossigenazione del sangue e dei tessuti) e la “Roentgenterapia”, un trattamento a base di radiazioni per la cura della pubalgia. Tra i calciatori che si sottoposero a questa rischiosa radioterapia ci fu Bruno Beatrice, morto poi a 39 anni per l’insorgenza di una leucemia acuta (vedi Il figlio di Beatrice: «Si apra un’inchiesta sulla morte di mio padre. Il mondo del calcio è omertoso). Negli anni Ottanta si impiegarono altre sostanze dopanti come l’eritropoietina (un ormone glicoproteico che sollecita la produzione di globuli rossi), il nandrolone (un anabolizzante che aumenta il volume dei muscoli e degli eritrociti) e l’ormone della crescita o Gh (somministrato soprattutto ad atleti giovani per svilupparne la statura e la massa muscolare). Si diffuse, inoltre, l’uso smodato di antinfiammatori, analgesici e integratori (come la creatina, che a dosaggi elevati ha effetti dopanti).
Sostanze dopanti ed esplosione della Sla
Dagli anni Novanta in poi il numero delle sostanze dopanti che circolano nel football è diventato impressionante: «eritropoietina, steroidi anabolizzanti, ormone della crescita, insulina, gonadotropina, gonadoreline, […] diuretici, betabloccanti, ipotensivi». Sono state introdotte, inoltre, alcune terapie innovative per la cura più veloce degli infortuni, come il Blood spinning o Plasma ricco di piastrine [vedi Federico Bosco, Prp: la “centrifuga” che guarisce traumi sportivi (e non solo) in breve tempo]. Nel 1998 è esploso lo scandalo del Laboratorio antidoping di Roma del Coni, dove si eseguivano «analisi incomplete e quindi non attendibili sui calciatori professionisti». Nel 2000 è stata poi approvata la legge n. 376 che punisce «sia l’atleta che fa uso di sostanza dopanti, sia il medico che le prescrive o somministra, sia chi fa, a vario titolo, commercio di farmaci vietati». Nel recente passato ben 75 calciatori sono risultati positivi – in vari campionati nazionali – agli esami antidoping (vedi Categoria: Casi di doping nel calcio). Gherpelli, tuttavia, ritiene che i controlli siano stati insufficienti e consiglia di monitorare gli atleti italiani tramite agenzie esterne al Coni o alle federazioni sportive che «si trovano in un perenne conflitto di interessi».
Un capitolo del libro è dedicato alla Sclerosi laterale amiotrofica (o Morbo di Lou Gehrig), che finora ha colpito in tutto il mondo oltre 50 ex calciatori. Una ricerca sulle morte sospette nel calcio è stata condotta tra il 2004 e il 2008 dalla Procura di Torino, che ha preso in esame circa 30.000 giocatori, in attività dal 1961 al 2008. L’indagine ha dimostrato che la Sla ha un’incidenza piuttosto alta nel football: 143 casi ogni 100.000 individui, con un dato «24 volte superiore rispetto alla popolazione maschile italiana». Le cause di questa grave patologia, tuttavia, non sono state ancora accertate, anche se si ipotizza che vi concorrano molteplici fattori: «microtraumi ripetuti; uso eccessivo di antinfiammatori e antidolorifici; utilizzazione di farmaci o sostanze doping; ripetuta esposizione a diserbanti e metalli pesanti; eccessivo sforzo fisico associato a una predisposizione fisica; insieme di più fattori ambientali associati a una predisposizione genetica».
Le immagini: Mihajlović e Vialli (composizione fotografica dell’autore; fonte: https://it.wikipedia.org); la copertina del libro di Gherpelli.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 206, febbraio 2023)